lunedì 10 ottobre 2022
I missili contro obiettivi civili servono a Putin per mandare un segnale ai "falchi" della linea dura e tentare di fiaccare la resistenza della popolazione. Ma non cambiano l'andamento del conflitto
Guerra giorno 229: furia russa sulle città e il dilemma strategico per tutti
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Il giorno 229 della guerra vede un’altra terribile pagina di attacchi indiscriminati sulle città, con decine e decine di morti e feriti. La rappresaglia militare del Cremlino, attesa da sabato dopo il sabotaggio al ponte Kerch, è arrivata “brutale”, come l’ha definita il presidente americano Joe Biden. Lo stesso Vladimir Putin ha rivendicato l’ordine di sparare 84 missili da crociera e 24 droni d’attacco iraniani incolpando Kiev di “attacchi terroristici”, ovvero di avere danneggiato gravemente l'unico collegamento che unisce Crimea e Russia, una infrastruttura chiave per i rifornimenti alle truppe impegnate sul fronte Sud.

Se metà degli ordigni piovuti dal cielo è stata intercettata, l’altra metà è caduta su case, giardini, parchi giochi, centrali elettriche e stazioni di pompaggio dell’acqua, tutti obiettivi strettamente civili. Difficile dire se la precisione non millimetrica dei missili permetta davvero di scegliere gli obiettivi o se alcuni di essi siano semplicemente il frutto casuale di un lancio verso il centro della capitale e delle altre città messe nel mirino, compresa Leopoli. Le immagini sono spaventose, lo scopo è evidente: inviare il segnale che la Russia non subisce senza reagire, che l’Ucraina ha soltanto da perdere nel tentare una controffensiva, tentare di minare la resistenza psicologica della popolazione, creando black-out elettrici e mancanza di acqua potabile in vaste aree del Paese.

Obiettivo quest’ultimo fallito, come dimostrano le immagini di centinaia di persone che cantano fieramente dopo essersi rifugiate nella metropolitana o il proseguire delle partenze dalla stazione ferroviaria di Kiev poco dopo la fine degli allarmi aerei. Il messaggio principale è per i “falchi” all’interno: Putin non vuole dare l’impressione di avere esitazioni nella linea dura. Ma da Mosca l’avvertimento va anche all’Occidente: deve sapere che continuare a sostenere Zelensky significa fare pagare alla gente inerme un prezzo sempre più alto.

Qualche voce in questo senso si è alzata anche in Ucraina, con una domanda precisa: l’azione contro il ponte simbolo non è costata troppo in termini di vite e di distruzioni? La risposta è ovviamente complessa. Ogni vita ha un valore inestimabile. Ma la verità è che nella logica della guerra prendono il sopravvento considerazioni di natura militare. Da questo punto di vista, il vantaggio che il Cremlino può ottenere da bombardamenti indiscriminati sulle città è piuttosto basso. Non cambierà a breve la determinazione del Paese invaso di difendersi e riconquistare più territorio possibile. Semmai aprirà un ulteriore fossato rispetto a una futura trattativa.

Lo scenario della crisi si fa sempre più cupo, anche in considerazione dell’annuncio del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, il quale ha ordinato alle sue truppe di schierarsi con le forze russe alla frontiera ucraina, con la motivazione che il vicino e la Nato stanno pianificando un attacco a Minsk, affermazioni non suffragate da alcuna prova.

L’Europa e gli Stati Uniti hanno condannato i raid e riaffermato l’impegno a stare al fianco di Kiev finché sarà necessario, con sostegno economico e bellico. Ma si trovano anch’essi alle prese con questioni di sempre più difficile soluzione. Biden deve decidere se cedere alle pressioni per la fornitura di razzi Atamcs, con una gittata di 300 chilometri, che potrebbero dare un’altra spinta alla controffensiva ucraina (sull'onda dell'emozione, ha promesso difese aeree avanzate). La Ue deve fronteggiare le difficoltà energetiche, destinate ad aggravarsi con l’incancrenirsi del conflitto. Le vaste manifestazioni spontanee a Varsavia e Vienna poche ore dopo i bombardamenti mostrano comunque l'appoggio che la causa ucraina continua ad avere nelle opinioni pubbliche, soprattutto dopo azioni odiose come scagliare missili sui civili.

La diplomazia, in attesa di una mossa cinese più incisiva di un semplice richiamo alla moderazione, non trova un bandolo nella matassa ingarbugliata di sangue e odio. Si può solo intravedere a breve termine un ripetersi, e forse moltiplicarsi, della dinamica che si è vista all’opera nelle ultime 72 ore, con duri colpi da una parte e furiose risposte dall’altra. Non si tratta però di uno schema che può durare indefinitamente, dato che i missili Kh-101 usati da Mosca costano 13 milioni di dollari ciascuno e che gli arsenali non sono senza fondo, mentre i rifornimenti da Occidente sono massicci e efficaci.

Le prospettive sul campo per la Russia restano incerte e il rischio può essere pertanto quello di un’escalation mirata non a sovvertire l’andamento dei combattimenti tra eserciti, ma a terrorizzare e uccidere al fine di ottenere una interruzione delle ostilità e un’accettazione dello status quo territoriale.

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