venerdì 7 ottobre 2022
L'allarme di Biden poi ridimensionato dalla Casa Bianca. Torna l'equilibrio del terrore, in uno scenario razionale. Ma dal Cremlino voci di dissensi, con potenziali colpi di mano del leader alle corde
Guerra giorno 226: il rischio atomico, le mosse dei Paesi e la vera strategia
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Il giorno 226 della guerra in Ucraina ha visto un rialzarsi della tensione circa la minaccia di un attacco nucleare, dopo almeno 72 ore in cui sembrava che i protagonisti della crisi fossero intenzionati ad abbassare i toni, anche se le parole, si sa, non sempre rispecchiano le vere intenzioni.

Joe Biden, nel discorso a un evento elettorale (e l’occasione non è ininfluente), ha detto che la minaccia del presidente russo Vladimir Putin di usare l’atomica (seppure tattica) in Ucraina sta portando il mondo più vicino all'"Armageddon" di quanto esso sia mai stato dalla crisi dei missili di Cuba durante la Guerra Fredda. Secondo il presidente americano, la prospettiva di una sconfitta potrebbe rendere il capo del Cremlino abbastanza disperato da usare le armi nucleari, il rischio più grande da quando il presidente americano John Kennedy e il leader sovietico Nikita Krusciov si sfidarono in un drammatico braccio di ferro nel 1962.

“Putin non sta scherzando quando parla di un potenziale uso di armi nucleari tattiche o di armi biologiche o chimiche, perché le sue forze armate, si potrebbe dire, sono significativamente al di sotto delle aspettative", ha spiegato Biden. E se finora le preoccupazioni sono state rivolte alla prospettiva che la Russia lanci un ordigno a corto raggio da usare sul campo di battaglia piuttosto che missili a lungo raggio, per il presidente Usa non fa molta differenza: “Non credo che esista la capacità di usare facilmente un'arma nucleare tattica e non finire nell'Armageddon”, con un diretto riferimento all’immagine di uno scontro finale tra bene e male, che viene dal libro dell’Apocalisse, nella Bibbia.

Com’è noto, la crisi dei missili di Cuba fece seguito alla fallita invasione dell'isola, con il famigerato sbarco alla Baia dei Porci, sostenuto dagli Usa per rovesciare Fidel Castro. Il regime cubano reagì offrendo ai sovietici la possibilità di installare nel Paese una base missilistica con testate nucleari. Il presidente americano, John F. Kennedy, rispose ordinando un blocco navale dell'isola. Dopo uno stallo durato 13 giorni, in cui si andò vicini al conflitto nucleare, Mosca accettò di rimuovere i missili dall'isola in cambio di alcune contropartite strategiche (compresa la rimozione di alcune batterie Usa in Asia) e Washington tolse il blocco navale da Cuba.

L’immagine dell’Armageddon è arrivata in un attimo anche al vertice europeo di Praga, dove è intervenuto il presidente ucraino Zelensky. Emmanuel Macron ha invitato a parlare di questi scenari con prudenza, proprio poco dopo che il ministro degli Esteri russo aveva rincarato la dose, spiegando che “non possiamo tacere sulle discussioni sul tema del possibile uso delle armi nucleari, che si sono recentemente intensificate. In particolare, non possiamo tacere sulle azioni sconsiderate del regime di Kiev volte a creare il rischio di utilizzare varie armi di distruzione di massa”.

Il riferimento di Lavrov è una frase di Volodymyr Zelensky che è stata interpretata come un invito alla Nato a compiere un attacco preventivo (nucleare?) contro Mosca. Frase poi precisata e forse in effetti improvvida. Ma lo stesso presidente ucraino, collegato con il summit della Ue, ha rilanciato l’allarme, anche se non legato alla bomba: “Tutti noi siamo sull'orlo di un disastro nucleare a causa della conquista da parte delle truppe russe dell'impianto nucleare di Zaporizhzhia”.

Insomma, l’escalation verbale spaventa anche se deve essere letta con le categorie della politica e della strategia bellica. Proprio l’esempio della crisi cubana, studiata da generazioni di analisti militari e teorici delle decisioni, insegna che il duello atomico si regge su un equilibrio del terrore che speravamo ormai superato, ma che invece ritorna con la crisi ucraina. Non a caso il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha affermato: “Prendiamo tutte le minacce seriamente ma non vogliamo essere intimiditi, vogliamo difendere gli interessi di chi crede nel diritto internazionale”.

La volontà di non cedere e di essere pronti a una risposta proporzionata – unita alla scarsa utilità di un’atomica tattica per i russi, che finirebbero per contaminare anche il proprio territorio e si metterebbero ai margini della comunità internazionale – farebbe escludere razionalmente il ricorso all’arma nucleare da parte di Mosca. Infatti, dopo il discorso di Biden giocato sulle paure, la Casa Bianca ha fatto sapere che non vi sono movimenti o segnali da parte della Federazione della volontà di usare armamenti non convenzionali, quasi a raffreddare il clima dopo l’impennata a inizio giornata.

Tuttavia, mentre le democrazie sono trasparenti, di quello che avviene al Cremlino abbiamo solo vaghi echi. Uno degli uomini del ristretto circolo di Vladimir Putin avrebbe di recente espresso direttamente il suo disaccordo sulla gestione della guerra, secondo quanto riportato dal “Washington Post” sulla base di fonti di intelligence. Ci sarebbero molte persone vicine al presidente convinte che il conflitto non stia andando bene o vada nella direzione sbagliata. Ciò potrebbe indurre a una scelta emotiva e non ponderata un leader che si vede alle corde, sebbene Putin sembri ancora abbastanza lucido e determinato a restare al potere, una circostanza incompatibile con l’ordine di lanciare un ordigno atomico.

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