sabato 24 giugno 2023
Prigozhin sfida Putin per avere più potere o vuole prendere il Cremlino? Quante possibilità ha di farcela? Quali effetti ci saranno sul conflitto? E che ruolo sta giocando l'Occidente in tutto questo?
Giorno 486: i tre scenari della guerra civile russa. E le conseguenze a Kiev
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La guerra in Ucraina è giunta al giorno 486, ma per la prima volta in 15 mesi i combattimenti da registrare si svolgono tutti sul territorio russo e non vedono la partecipazione delle truppe di Kiev, in un clamoroso, imprevedibile (e poi rientrato) ammutinamento della milizia Wagner comandata da Evgenij Prigozhin. La sfida diretta al Cremlino del numero uno dei miliziani apre scenari non ancora considerati, nell’incertezza delle mosse che i principali attori in campo potrebbero decidere di fare. Ma vediamo uno per uno gli scenari di una giornata che segnerà probabilmente una svolta nel conflitto e negli equilibri interni russi.

1. Prigozhin combatte per mantenere il proprio potere

L’ex cuoco 62enne, che in una foto del 2006 serve a tavola George W. Bush, da tempo è uno degli uomini più potenti della Federazione, cresciuto all’ombra di Vladimir Putin e sua longa manus per le operazioni più spericolate e controverse, dalla guerra in Siria alla penetrazione in Africa fino al tentativo di influenzare le elezioni americane del 2016. Le alchimie del potere di Mosca sono più complesse di quanto possa apparire e l’operazione speciale contro l’Ucraina, dal febbraio 2022, ha creato pesanti ripercussioni. Innanzitutto, conseguenze economico-finanziarie: qualche oligarca si è impoverito e qualche altro protetto del regime si è arricchito.

La corte putiniana ha subito scossoni in base all’andamento delle operazioni sul campo. I contrasti tra il ministro della Difesa Sergej Shoigu, il capo di Stato maggiore Gerasimov e la punta di lancia sul campo, la Wagner, si sono acuiti con le sconfitte e le diverse prospettive strategiche sul conflitto. Prigozhin, spietato e infido, esasperato per la asserita mancanza di assistenza logistica alle sue truppe, è diventato paradossalmente un “grillo parlante”, capace di smentire la grande narrazione che ha sostenuto finora le (presunte) ragioni di Mosca. Non è vero che è stata la minaccia della Nato a costringere il Cremlino ad attaccare Kiev. È falso che l’Ucraina abbia fatto stragi di civili nel Donbass imponendo ai russi di difendere la popolazione con un intervento armato.

Il fondatore della Wagner ha scopi umanitari? Per nulla, ha combattuto senza farsi scrupoli finora, colpendo civili e militari del Paese aggredito. Forse, la prospettiva di essere inquadrato nelle forze regolari gli ha fatto temere una perdita di potere e ricchezza, e il braccio di ferro con i vertici delle Forze armate è finito fuori controllo, fino alla rottura anche con Putin. Ecco allora l’idea, probabilmente non del tutto improvvisata, se vero questo scenario, di “farsi giustizia” da solo, spaventare il presidente e indurlo a sostituire i generali sgraditi. E riprendere quindi le ostilità alla sua maniera.

Ma per il capo del Cremlino questo è sembrato troppo. Perciò ha parlato di tradimento e di coltellate alla schiena. Non era disposto a scendere pubblicamente a patti con Prigozhin per non subire uno smacco che ne avrebbe minato irreparabilmente l’autorevolezza, ma non poteva nemmeno permettersi una guerra civile, seppure breve, pena subire una controffensiva ucraina che sarebbe potuta diventare devastante. La Wagner non aveva considerato questo aspetto? Forse, il progetto era di una partita breve che si doveva concludere con uno spostamento di rapporti di forza e una ripresa dell’offensiva in modo più deciso ed efficace. Nella mattinata del 24 giugno, c’è stato infatti a Rostov, dove la Wagner ha occupato città e comando militare senza sparare un colpo, un incontro tra Prigozhin, il viceministro della Difesa, Yunus-Bek Yevkurov, e il vicecapo del servizio segreto militare, Vladimir Stepanovich Alekseev. Una trattativa finita male, con tutta probabilità. Ma nel pomeriggio, le parti, anche con la mediazione del presidente bielorusso Lukashenko, hanno trovato un'intesa, non ancora resa pubblica. Altrimenti si sarebbe aperto un secondo scenario.

2. Prigozhin vuole prendere il Cremlino

Fallita ogni possibilità di compromesso, compreso che né lui né i suoi uomini, con cui ha diviso sul campo tempo e destini, possono salvarsi se non avendo il comando della Federazione, Prigozhin tenta il colpo di mano per diventare arbitrio del potere. Non può avere realisticamente l’ambizione di essere il leader del dopo Putin, spera di essere il burattinaio di un regime non troppo diverso, ma non ostile nei suoi confronti e disposto a lasciargli le briglie sciolte per le sue azioni e i suoi affari. Un obiettivo che tuttavia sembra troppo ambizioso. Con 25mila uomini, sebbene molto motivati, non può sbaragliare l’esercito russo, pur a ranghi ridotti in patria perché massicciamente impegnato in Ucraina. Inoltre, dovrebbe avere l’appoggio della nomenclatura e delle élites economiche in fuga dal cerchio magico di Putin. Tutto molto difficile. E infatti non si è realizzato.

Si può anche considerare il ruolo della Cina, che non vuole perdere l’influenza che ha acquisito sull’alleato. Potrebbe approfittare della situazione per muovere le proprie pedine. Si è fatto notare che il premier russo Mikhail Mishustin ha fatto un viaggio a Pechino a fine maggio, dove è stato ricevuto con molti onori. Una volta tornato in patria, non ha più partecipato alle tre riunioni del Consiglio di sicurezza che si sono svolte a Mosca in giugno. È l’uomo su cui Xi Jinping punta per un eventuale dopo-Putin? Solo speculazioni, per ora.

La scommessa di Prigozhin, se avesse proseguito per arrivare nel centro di Mosca, sarebbe stata quella di creare spaccature nelle Forze armate e nell’establishment per portare dalla sua parte un numero di persone sufficienti per evitare che di scatenare la battaglia. C’era chi scommetteva che Putin avrebbe ordinato attacchi missilistici per fermare la Wagner e riaffermare la sua presa solida sulla nazione, basata sul terrore. Per ora non è servito.

Kiev sta giustamente alla finestra. Se spingesse subito in qualche direzione – raid massicci su un fronte, prese di posizione a favore di uno dei contendenti – rischierebbe di ricompattare il fronte russo. La disunione del Paese invasore è un risultato per ora positivo – si è scherzato sul fatto che finalmente gli ucraini possono comprarsi il popcorn e godersi lo spettacolo. Ma vi sono anche pericoli all’orizzonte. E ciò fa transitare nel terzo scenario.

3. Il rischio caos e il ruolo dell’Occidente

Putin, Shoigu e Gerasimov condividono le chiavi per l’attivazione delle (seimila) testate nucleari in dotazione alla Russia. Nel mezzo di una guerra civile per il controllo del potere o dopo un cambio traumatico di leadership, quei codici potrebbero finire in mani ancora peggiori di quelle attuali. Una Russia di Prigozhin lascerebbe i territori conquistati in Ucraina o sarebbe un partner più affidabile? Molto difficile. A meno che non si facciano concessioni a Mosca su altri fronti. Eccoci all’ipotesi fantapolitica che qualcuno ha voluto fare balenare. Il capo della Wagner poteva essere “comprato” dai servizi Nato o prestarsi a qualche manovra per il proprio tornaconto personale? Una manovra non solo cinica e spregiudicata, ma piuttosto incredibile, perché non avrebbe coinvolto qualche individuo (cosa sempre possibile) ma un intero esercito privato che odia l’Occidente e lo sta combattendo attivamente in tutto il mondo. Questo non significa che non ci si debba muovere con attenzione e responsabilità, evitando le tentazioni di “approfittare” temerariamente della situazione, in un quadro potenzialmente più complesso e foriero di conseguenze della stessa guerra in Ucraina.

E il popolo russo? La grande maggioranza resta schierata con Vladimir Putin (e forse un poco più tiepidamente con la scelta di aggredire Kiev). Ma non avrà verosimilmente un ruolo attivo in questa partita tra leader e signori delle armi e resterà ancora vittima di un regime che non permette il dissenso.

Che cosa comporterà questo tentativo di golpe, tale l’ha definito esplicitamente il “falco” Dmitry Medvedev? Probabilmente una Russia più debole, divisa e anche imprevedibile. Forse più determinata a chiudere in fretta il conflitto. Potrebbe esserci una ritirata precipitosa dalle posizioni in Ucraina? Per ora sembra da escludere. Ma le chance della controffensiva di Kiev sono in risalita. Le sorprese potrebbero non essere finite.

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