venerdì 27 febbraio 2009
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Mai vista tanta puntualità nell’amministrazione della giustizia. Le foto di Eluana Englaro morente sequestrate al fotografo triestino che le aveva scattate sono state restituite a tempo di record allo stesso professionista. Quelle decine e decine di scatti non comporterebbero alcun reato. L’unica violazione ravvisata dal pm Frezza riguarda non una norma o un provvedimento dell’autorità, ma una semplice «scrittura privata». Tale è infatti la natura del «protocollo» per la messa a morte di Eluana. Già, tutto è stato ufficialmente e utilmente degradato come «privato» in questo drammatico caso: la sua rilevanza (parola della Cassazione), il suo precipitare verso un esito letale in una clinica­non clinica udinese (e, dunque, non assoggettabile alle regole del Servizio sanitario nazionale), la gestione materiale degli ultimi giorni di vita di Eluana e, ora, anche la cattura delle immagini di un’agonia procurata. Eppure per almeno dieci anni – tanto è durata la battaglia massmediatica e giudiziaria intorno alla vita di una donna in stato vegetativo – tutto era stato volutamente e assolutamente pubblico. All’improvviso la cesura, il cambiamento di corso, i via libera più impensabili, il catenaccio più impenetrabile. Il messaggio è chiaro: su tutto ciò che s’è compiuto non ci sarà un’incrinatura, non sarà sollevata alcuna eccezione. Per fortuna che Dio c’è.
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