Trump, Biden, quest'America spezzata e qualche seria lezione, utile pure a noi
sabato 16 gennaio 2021

Signor direttore,
le scrivo per congratularmi con lei per la presa di posizione in merito alla pillola Ru486. È stato coraggioso da parte sua andare contro corrente. Purtroppo, invece, registro ancora una narrazione da parte di “Avvenire” circa le elezioni presidenziali americane appiattita sulle posizioni anti-Trump dell’altra “grande stampa”. Richiamo quattro fatti. 1) È numericamente evidente che i numeri – per esempio della Pennsylvania – sono palesemente sbagliati: sono pervenute schede di voto postali in numero 2,5 volte superiori a quelle che dovevano pervenire stando alla registrazione degli elettori. 2) Fa pensare Joe Biden abbia ottenuto meno voti di quanti ne ottenne Obama nel 2008 e 2012 in tutti gli Stati tranne che nei 6 famosi contestati da Trump. 3) Circa le prove dei brogli che lei e tutti voi della “grande stampa” asserite non ci siano in quanto nessun tribunale l’ha confermato, le dico che più di un migliaio di testimoni giurati (gli spergiuri vanno in prigione là in America!), alcuni dei quali minacciati pesantemente, costituiscono un motivo molto forte per approfondire. E aggiungo che se i giudici non hanno neanche preso in considerazione questa opportunità di verifica e giudizio, ciò non depone certamente a favore della sua tesi e della loro imparzialità. 4) Alcuni Parlamenti statali (5 dei 6 Stati contestati ) hanno, invece sentito il dovere di ascoltare questi testimoni e hanno deciso di nominare grandi elettori diversi da quelli usciti dalle elezioni del 3 novembre, ribaltando l’esito delle stesse, ritenute evidentemente truccate. Credo che questo basti, almeno per far sorgere ragionevoli dubbi.

Sergio Avignolo


Caro direttore,

l’assalto al Senato da parte dei “patrioti” di Trump, decisi a non accettare la sconfitta del presidente in carica, ha umiliato la democrazia e il popolo americano. Le immagini di violenza al Congresso sono il culmine della politica di odio e falsità, praticata per quattro anni; esse suscitano interrogativi preoccupanti per tutti sul futuro e parlano di un Paese profondamente diviso. La sfida per il nuovo presidente Biden è assai impegnativa in questa fase di transizione e lo sarà anche dopo. Quanto ci riguarda la drammatica giornata americana del 6 gennaio? E quali lezioni, pur nella diversità dei contesti, possiamo trarne?

Domenico Mattia Testa


Gentile direttore, mi ha colpito l’esito della riunione alla Casa Bianca di lunedì 12 gennaio tra il presidente in carica e il suo vice Pence, il primo incontro tra i due dopo le violenze in Campidoglio e i loro dissidi. Entrambi stavolta, secondo «fonti governative», hanno dichiarato che «coloro che hanno infranto la legge e hanno invaso il Campidoglio non rappresentano il movimento “America First” sostenuto da 75 milioni di americani». Parole chiare, ma è un’abitudine dei progressisti americani e nostrani manipolare la realtà prendendo per il naso la gente. Gli esempi sono molteplici: sondaggi taroccati, sordina sulla disoccupazione ai minimi di sempre così come sui record di Wall Street, Russiagate, avventure erotiche e dissidi di Trump con l’attuale moglie, razzismo, silenzio (o quasi) sugli Accordi di Abramo... e tanti altri al solo scopo di irretire l’opinione pubblica e magnificare le doti dell’establishment che detiene tutte le principali leve del potere, dalla finanza ai media e non vuole, da buon manovratore, che qualcuno disturbi la sua insindacabile gestione. È ora di un serio esame di coscienza su questa mania perniciosa di demonizzare quelli che non la pensano come i “democratici”. Non ci sono solo il cavaliere immacolato e il mostro.

Enrico Venturoli

Caro direttore,

ormai ci è stato mostrato e detto di tutto sull’increscioso e drammatico assalto del 6 gennaio a Capitol Hill e sulla propaganda che l’ha scatenato. Una cosa, di non poco conto, mi sembra però non venga presa in giusta considerazione. Tutti parlano delle procedura di impeachment di nuovo in atto o del ricorso al 25° emendamento della Costituzione al fine di rimuovere al più presto colui che è il responsabile morale e fors’anche l’ispiratore di tale atto barbarico, ossia Donald Trump. Ma il nuovo presidente degli Usa Joe Biden non è di questo avviso, per non esacerbare contrasti e divisioni fra gli americani. Con ogni probabilità ci penserà lo stesso elettorato trumpiano a scaricare il proprio idolo. Il «vi amo» di Trump ai facinorosi che prendevano di mira la sede del Parlamento e il successivo voltafaccia con la richiesta di fare giustizia nei confronti di quelle stesse gesta avranno disorientato la base del presidente uscente! Trump è destinato a ritrovarsi sempre più isolato e dunque, per me, ben fa il neo eletto Biden a volere che le cose si appianino da sole.

Clemente Carbonini



Dico subito che la penso sostanzialmente come il signor Carbonini: Joe Biden, l’uomo che tra poche ore assumerà la guida degli Stati Uniti d’America, è saggio nel suo intento di non esacerbare lo scontro che Donald Trump ha invece reso incandescente, sino a propiziare un cambio alla Casa Bianca tra misure di sicurezza mai viste e prima ancora sino a umiliare al cospetto del mondo, e proprio nei simboli più famosi e rispettati, quell’America che, entrando in politica, Trump stesso aveva gridato di voler fare «grande».

È saggio Biden come l’attuale vicepresidente Mike Pence che ha sostenuto una posizione analoga nella risposta alla leader democratica alla Camera Nancy Pelosi e che il 6 gennaio si è rifiutato di subire le pressioni di Trump per impedire la proclamazione di Biden. Penso questo anche se mi rendo conto che un capo del governo federale in scadenza che fa quasi di tutto, sino all’incitamento all’insurrezione, per impedire il riconoscimento finale della chiara vittoria elettorale del proprio avversario è un fatto di assoluta gravità. Biden dovrà faticare, e con lui i leader responsabili dei due grandi partiti-perno della democrazia Usa, per ridare piena forza alla voce di un’America spezzata e moralmente rimpicciolita. Forse la nuova procedura d’impeachment (che mi sembra ben più solida della prima) è frutto anche di tale consapevolezza. Un pubblico lavacro. Eppure Biden, a mio avviso, ha ragione: questa messa in stato d’accusa non è indispensabile e può fare ulteriori danni.

Quanto al pubblico dibattito sul possibile ricorso al 25° emendamento (il vicepresidente in carica che esautora il presidente) mi è sembrato più un modo per far capire a Trump che non gli sarebbero stati consentiti, mentre sta scadendo, gesti inconsulti soprattutto nel suo ruolo di comandante in capo della più grande potenza militare del mondo. A tal proposito vorrei dire al signor Venturoli, che elenca ciò che ha apprezzato nell’azione di Trump, che nel giudizio si deve tener conto dei reali successi ottenuti tanto quanto dei deliberati errori e di alcuni orrori (vere mostruosità sul piano umanitario) compiuti e che sono sottolineati dal triste e violento epilogo di questa fase politica.

La prima lezione da trarre dai fatti americani, buona anche per noi italiani, è a mio parere che un Paese diventa piccolo quando i suoi leader sono “piccoli”, perché si dimostrano incapaci di mettere l’interesse generale davanti a quello proprio e della propria fazione. Comincio, così, a rispondere al signor Testa, autore della seconda delle quattro lettere che precedono queste mie annotazioni. E chiarisco subito di non credere possibile, oggi come oggi, un assalto al nostro Parlamento. E, comunque, spero che tutti i protagonisti della politica italiana abbiano riflettuto su certa retorica anti-istituzionale, che anche da noi è purtroppo andata (e va ancora) per la maggiore, e su che cosa produce. È inequivocabile e indimenticabile il messaggio scolpito dalle immagini delle aule parlamentari e degli uffici del Campidoglio d’America trasformati, per alcune ore, in quel «bivacco di manipoli» che in altri tempi venne evocato dal duce del fascismo...

C’è, poi, una persuasiva lezione sulla potenza della disinformazione e sulle ragioni per contrastare con decisione la truffaldina logica dei «fatti alternativi» cara a Trump, pratica che contraddice sistematicamente la realtà scomoda e la manipola, manipolando settori di opinione pubblica sino a lanciarli contro l’avversario di turno: l’immigrato, il musulmano, il nero, persino il Papa e il Presidente eletto dal popolo americano…

E intendo affrontare il tema non in astratto, ma rispondendo alle quattro questioni sollevate dal signor Avignolo che – ahilui – continua a prendere per vere, come del resto troppe persone di là e di qua dell’Atlantico mezze verità e bugie tutte intere messe in circolazione dalla macchina propagandistica dell’uomo che per quattro anni è stato legittimamente e spregiudicatamente presidente degli States. Eccole.

1) «Numeri sbagliati, Pennsylvania lo dimostra». Non è vero. Il primo a sostenere questa accusa è stato Rudy Giuliani, avvocato di Trump, che però ha mescolato i dati delle primarie di giugno 2020 con quelli del voto di novembre. In realtà i dati del Dipartimento di Stato della Pennsylvania (disponibili sul sito ufficiale) mostrano che nelle settimane precedenti le elezioni più di 3 milioni di elettori della Pennsylvania avevano chiesto di votare per posta e perciò ricevuto le schede. Lo Stato ne ha avute di ritorno circa 2,6 milioni, che sono state regolarmente contate.

2) «Obama più votato di Biden». Non è così. È vero che Barack Obama ottenne una percentuale complessiva di consenso tra gli americani più alta di quella di Biden (23% contro il 22%). Ma in termini di voti assoluti Joe Biden è il presidente più votato della storia degli Usa, e ha raccolto più voti di Obama in tutti gli Stati. Lo stesso Trump, pur sconfitto, è il secondo candidato più votato in un’elezione presidenziale. Ciò in forza della maggiore partecipazione al voto e dell’aumento della popolazione: nel 2020 ha votato il 66,2% degli aventi diritto, mentre nel 2008 l’affluenza era stata del 61,6% e stavolta ai seggi – come attesta lo US Election Project dell’Università della Florida – sono andate 27 milioni di persone in più.

3) «Tanti testimoni dei brogli. Non si è approfondito». Non è vero. Le accuse sono state giudicate. E Trump ha visto cadere uno dopo l’altro i suoi 42 ricorsi a livello statale e federale. Tutti tranne uno, che – come abbiamo scritto più volte – ha spostato appena una manciata di voti in Pennsylvania. A questi giudizi si aggiunge la causa mossa dal Texas direttamente davanti alla Corte Suprema contro il voto postale stabilito e regolato in altri quattro Stati. Respinta anch’essa. A dispetto di chi prefigurava un esito diverso, perché contava sul fatto che cinque dei giudici della Corte Suprema sono stati nominati da presidenti repubblicani (tre dal solo Trump) e perché sei su nove di loro vengono etichettati, a torto o a ragione, come “conservatori”. Ma questioni e accuse se sono infondate, tali restano. Quanto ai testimoni pro-Trump, stando ai documenti ufficiali dei tribunali, sono stati un paio di centinaia, non oltre un migliaio. Tutti volontari del Partito repubblicano, inviati ai seggi per monitorare la regolarità di voto e spoglio, che hanno rilasciato dichiarazioni giurate su presunte operazioni sospette. Pochissimi hanno testimoniato in aula perché la maggior parte dei ricorsi sono stati giudicati infondati e respinti dai giudici prima ancora di arrivare in aula e questo perché le accuse non reggevano al confronto coi fatti o, comunque, sono state valutate inattendibili. Nessuno, a quanto risulta, è stato tuttavia perseguito per spergiuro, così come nessuno risulta essere stato minacciato.

4) «Ci sono Stati che hanno cambiato i grandi elettori, riconoscendo i brogli». Non è vero. È vero solo che qualche parlamentare di Stati contesi (e di tradizione repubblicana) ha proposto alle proprie Assemblee di ribaltare l’esito delle elezioni nominando nuovi grandi elettori, ma nessuna Assemblea statale (pur a maggioranza repubblicana) ha approvato quelle proposte, giudicate senza base.

Quest’ultima, cari amici, è un’altra inestimabile lezione. Lezione di correttezza democratica o, se si vuole, di pura e semplice onestà. Che non ha tessera di partito, e che tutti dovrebbero onorare, accompagnati e sorvegliati da un’informazione persino più onesta. Noi forse non riusciremo sempre alla perfezione nell’intento, ma ci proviamo con tenacia e convinzione. Ogni giorno.


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