venerdì 16 novembre 2012
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La giornata di mercoledì deve farci riflettere, con le sue amare tensioni sociali e i suoi in­quietanti disordini di piazza. La situazione del­l’Europa del Sud è molto difficile e non servo­no certo la violenza e le contrapposizioni 'noi­loro' a risolverla. Il 'corpo sociale' non può es­sere percepito come un ostacolo all’applica­zione delle 'politiche di austerità salva-bilan­ci', ma deve essere visto come un soggetto – la società civile – indispensabile per imboccare l’unica possibile via d’uscita dalla crisi. Il con­flitto sociale si risolve, infatti, mettendo in atto le politiche giuste, e sapendole spiegare.
La strada per l’uscita dalla crisi è lunga e diffi­cile, e con il dibattito sviluppato negli ultimi mesi su questo giornale abbiamo cercato di contribuire alla costruzione di un percorso i­nevitabilmente complesso. E almeno su tre li­velli. Il primo è il piano internazionale dove sono ne­cessarie due cose. Innanzi tutto, la riforma del­le regole della finanza per evitare nuove cata­strofi come quella che ci ha portato alla situa­zione in cui siamo. In secondo luogo, azioni dei cittadini (il voto col portafoglio per aziende 're­sponsabili' e 'sostenibili') accompagnate da opportune politiche incentivanti che produca­no una convergenza verso l’alto e non verso il basso di salari e tenore di vita.
La vera causa di tutti i problemi che stiamo vivendo sono infat­ti i divari di costo della vita e del lavoro che la globalizzazione non ha causato, ma ha piutto­sto fatto emergere. La sfida che la globalizza­zione ci pone più che mai è quella dell’interdi­pendenza: le vere soluzioni non possono esse­re conflittuali, ma solo cooperative tra aree del mondo, stati e classi sociali all’interno dello stesso paese. Il secondo piano di azione è quello europeo.
Bisogna spingere per la costruzione di un’ar­chitettura finanziaria (le regole antispread per contrastare la speculazione) e macroeco­nomica (politiche di rilancio degli inve­stimenti e delle infrastrutture) che rove­sci il paradigma cieco dell’austerità e met­ta al centro il problema della disoccupa­zione e del rilancio della domanda co­niugando lo stesso con l’equilibrio dei conti pubblici europei. Il terzo piano è quello nazionale. Se in­fatti sui primi due piani (mondiale ed eu­ropeo) le cose non andassero come do­vrebbero, dovremo essere comunque in grado di cavarcela da soli.
Da questo punto di vista, ci sono da ag­gredire i famosi «50 spread dell’economia reale» che ci allontanano dal modello te­desco su diversi fronti (istruzione, digital divide , corruzione, ritardi della burocra­zia, inefficienza della giustizia civile, ri­tardi dei pagamenti della pubblica am­ministrazione...). Il governo in carica sta lavorando in questa direzione, ma biso­gna essere consaspevoli che su una via così importante i progressi saranno lenti e non potranno produrre risultati imme­diati perché la 'trappola del declino' è scattata, dipende da troppi fattori e un processo di tale portata non si può inver­tire di colpo.
Dobbiamo, infine, liberarci del macigno del de­bito pubblico e la strada più praticabile (eco­nomicamente e socialmente) è, come abbia­mo scritto più volte, quella di un nuovo Patto Fiscale con gli italiani che realizzi nel concreto il principio del 'pagare meno, pagare tutti'. At­traverso alcune regole fondamentali (la ridu­zione della soglia del contante, magari accom­pagnata dallo spostamento dell’Iva su una tas­sa sui prelievi al bancomat) è possibile dare scacco matto all’evasione, vincolandosi a tra­sferire immediatamente i proventi in termini di riduzione del peso fiscale. In questo modo ap­pare possibile realizzare equità ed evitare di es­sere percepiti come vessatori legando invece la lotta all’evasione all’obiettivo della riduzione delle tasse. Un 'premio' reale che produrreb­be effetti benefici sui mercati finanziari e rida­rebbe fiato a cittadini e imprese rilanciando l’e­conomia reale.
Le prossime elezioni devono restituirci una clas­se dirigente preparata, matura e con seria ca­pacità di ascolto e di comunicazione in grado di realizzare un programma convincente e di spiegare a un Paese prostrato da anni di crisi perché lo fa, ancorando le scelte e visioni a pre­cisi e saldi valori di riferimento. A noi elettori, probabilmente prima del previsto, toccherà il non facile compito di individuarla.
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