venerdì 12 dicembre 2008
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Appare sconcertante la chiusura nettissima espressa da Silvio Berlusconi al dialogo con «questa» sinistra, proprio in una fase nella quale, come avvertono esplicitamente i vertici istituzionali, si apre invece uno spazio per il confronto di merito e forse persino qualche conclusione convergente su temi assai delicati, dal federalismo alla giustizia. Naturalmente l’andamento zigzagante delle prese di posizione del premier, – che il giorno prima aveva detto che invece col Walter Veltroni «del Lingotto» si poteva dialogare e che il giorno dopo ha chiarito che non intende ostacolare il confronto in Parlamento sulla giustizia – potrebbe ricondurre questa esternazione apparentemente definitiva nell’ambito dell’odiato «teatrino della politica». Anche se dovesse, alla fine, essere superato, resta da capire che cosa abbia indotto Berlusconi a mettere un nuovo e pesante ostacolo sulla strada che potrebbe portare a uno svolgimento meno convulso del confronto politico durante una legislatura che lo vede e, con ogni probabilità, lo vedrà come inevitabile protagonista.Forse Berlusconi è davvero «deluso» dal repentino abbandono della disponibilità al dialogo del Partito democratico, che ha avuto come origine la contrapposizione alla legge Alfano sull’immunità temporanea delle massime cariche dello Stato. Però potrebbe aver anche constatato che praticando la linea del "muro contro muro", il Partito democratico ha visto segni di sgretolamento della propria fortezza politico-elettorale, mentre quella del Popolo delle Libertà – almeno a giudicare dai sondaggi – appare assai più resistente. Se è l’avversario a subire il danno maggiore della contrapposizione frontale – deve aver pensato il premier – è lui che deve pagare il prezzo più alto politicamente, per superarla. La riaffermazione degli obiettivi anche costituzionali della riforma della giustizia e l’accettazione del rischio implicito nel referendum confermativo (senza alcun quorum dei votanti) per una riforma che non ottenga i due terzi dei suffragi parlamentari, punta a non riconoscere al Pd un diritto di veto. Si tratta di una scelta non proprio adamantina eppure per certi versi anche comprensibile, tuttavia non c’era ragione di anticiparla, almeno finché il confronto non avesse eventualmente fatto emergere l’incompatibilità delle posizioni. Infine, ma non per ultimo, può aver pesato un fattore concorrenziale interno alla maggioranza. Se Gianfranco Fini e persino Umberto Bossi – che ieri ha puntualmente fatto risuonare le proprie rimostranze politiche per i "toni alti" del Cavaliere – si presentano nella veste del "poliziotto buono", Berlusconi indossa quella del "poliziotto cattivo". Esattamente all’inverso di quel che accadde durante il suo precedente governo. Dovranno essere gli alleati, questa volta, a chiedere di accogliere qualche proposta o qualche emendamento dell’opposizione, invece di impedirlo come fecero allora in nome dell’autosufficienza della maggioranza.Si tratta di ipotesi che cercano di spiegare, ma non giustificano, un atteggiamento che ha avuto l’unico effetto di facilitare il compito a Veltroni che può così più facilmente uscire dalla tensione tra le pressioni giustizialiste e quelle riformiste rimandando la palla nel campo avverso. Se poi queste manovre tattiche piuttosto puerili saranno dimenticate all’indomani del voto abbruzzese di domenica e lunedì prossimo, poco male. Se invece proseguiranno, ci sarà motivo per preoccuparsi davvero.
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