venerdì 10 novembre 2023
Tra ribellione contro il potere e le battaglie nei tribunali. La lettera dal carcere alla famiglia: «Ho portato tutto con me. In prigione ho portato con me la libertà e il mio Paese»
Il potere sfidato dai giovani ribelli che non accettano la guerra. Nella foto la Piazza Rossa a Mosca

Il potere sfidato dai giovani ribelli che non accettano la guerra. Nella foto la Piazza Rossa a Mosca - Archivio

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L’aggressione russa in Ucraina resta al-l’ombra del precipizio drammatico in Medio Oriente. Ma la ferocia della guerra lì non si è interrotta. Miete vittime quotidianamente così come marcia implacabile in Russia la persecuzione nei confronti di chi si oppone alla guerra. Si svolgono i processi e arrivano le condanne.

Ma non si spegne la determinazione delle persone, soprattutto giovani, che con continuano a recarsi nei tribunali. Pochi possono entrare nelle aule, gli altri restano nei corridoi e fuori per fare sentire ai detenuti il loro sostegno, anche se solo per qualche secondo, mentre passano in manette. Come in altri contesti di repressione del dissenso si articolano sul fronte interno diverse strategie di opposizione.

C’è quella nonviolenta di chi come Oleg Orlov e Dmitri Muratov puntano alla difesa ancorata al rispetto della Costituzione e della legalità. Strategia solida che poggia sulla difesa civile e politica e che gode di un’autorevolezza e di un seguito anche grazie alla diffusione di media e social indipendenti e che riesce a parlare anche oltre il muro della censura. Le loro autodifese sono occasioni uniche per parlare in pubblico contro la guerra.

Ci sono poi i casi dei ragazzi diversi tra loro per la forma della contestazione. Dalla nonviolenza di Alexandra Skochilenko, in carcere da aprile del 2022 per aver sostituito 5 cartellini dei prezzi in un supermercato di San Pietroburgo con messaggi contro la guerra, al caso di Yegor Balazeikin, un ragazzo di 16 anni che un giorno non ce l’ha fatta più, ha preparato una molotov e l’ha lanciata contro un centro di arruolamento. Non ha provocato danni perché l’ordigno non è esploso.

L’accusa in un primo momento è stata di danneggiamento materiale intenzionale e poi trasformata in tentato attentato terroristico. Un’accusa assegnata a tutti quei ragazzi che hanno lanciato le molotov. Il caso di Yegor è non solo emblematico per la giovanissima età. Rappresenta la condizione di prostrazione psicologica in cui versano i giovani che non si danno pace per l’orrore provocato dal proprio Paese. Un ragazzo mite che ama il karate, appassionato di storia che frequenta un ginnasio prestigioso di San Pietroburgo.

La disperazione in ragazzi come Yegor diventa insopportabile fino a fare loro commettere gesti sconsiderati. Un caso emblematico anche per un altro motivo. Quello di chi subisce lo choc per la morte dello zio al fronte. Yegor lo aspettava anche per sentire dalla sua stessa voce che cosa stesse accadendo e rispondere alla domanda se è davvero un’Operazione Speciale o è una vera guerra. Si è reso conto dell’inganno della propaganda. Una presa di coscienza maturata nel tempo che per un ragazzo di una tranquilla famiglia di un sobborgo di San Pietroburgo diventa insostenibile il primo gennaio 2023 quando muoiono 60 soldati mobilitati in una base militare di Makiivka colpita da un missile.

Per le notizie terribili dall’Ucraina a Natale in famiglia non ci sono stati né l’albero né gli addobbi e nessuno scambio di regali. Poi il 28 febbraio il lancio della molotov e il 1 marzo l’arresto. Come per altri detenuti, è stato creato un canale Telegram dedicato al suo caso. Si condividono aggiornamenti sul processo e le lettere di Yegor scritte ai genitori, agli amici. Si racconta la vita di Yegor prima del 24 febbraio.

Ci sono fotografie e video, tra cui uno in cui la madre racconta come l’angoscia abbia travolto suo figlio. Per spiegare il suo gesto le ha detto: «Se non l'avessi fatto, probabilmente mi sarei impiccato. Perché non posso camminare con questo peso nell’anima, vedendo quante persone stanno morendo. Come posso continuare a convivere con questo?».

In una delle lettere ai genitori, Yegor ha scritto: «Ho portato tutto con me. In prigione ho portato con me la libertà e il mio Paese». Dal primo di marzo si trova in un centro di detenzione per minori e il 25 ottobre il giudice ha prolungato la detenzione fino a dicembre e rischia una condanna di 10 anni. Per il regime l‘accanimento punitivo è finalizzato a diffondere il terrore. A volte però può essere foriero di nuove consapevolezze. L’esatto opposto di ciò cui mira il regime.





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