giovedì 1 aprile 2010
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Il "mea culpa" è arrivato dopo quindici anni, ma è comunque destinato a entrare nei libri di storia. La Serbia chiede pubblicamente scusa per il massacro di Srebrenica nel 1995, quando ottomila civili musulmani, fra cui bambini, donne e anziani, vennero trucidati a sangue freddo dalle milizie serbo-bosniache. Fu il culmine delle atrocità che segnarono i conflitti inter-etnici dei primi anni Novanta in Jugoslavia, il crimine più odioso compiuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Un eccidio che la Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale dell’Onu, ha qualificato come genocidio. Un termine che non compare nel testo della risoluzione adottata l’altra notte dal Parlamento di Belgrado, i cui deputati si sono scusati con le famiglie delle vittime perché non fu fatto tutto il possibile per impedire la strage. La mozione di condanna è stata approvata con una maggioranza risicata di soli due voti dopo tredici ore di un dibattito convulso e drammatico, seguito in diretta tv da tutta la nazione. A quindici anni dalla fine della guerra in Bosnia e a dieci dalla caduta di Milosevic, il macellaio dei Balcani morto nel 2006 nel carcere di Scheveningen, la Serbia avvia faticosamente una resa dei conti con il recente passato che l’ha vista protagonista dei crimini di guerra più efferati contro le popolazioni dell’ex Jugoslavia. Un dibattito lacerante per la società civile di questo Paese, divisa tra una minoranza di politici e intellettuali che non si stancano di denunciare la follia nazionalista di quegli anni e la stragrande maggioranza di cittadini che fino ad oggi ha preferito chiudere gli occhi davanti ai crimini commessi dalle milizie serbe rinfacciandoli piuttosto agli avversari. Fino all’ultimo la folta pattuglia parlamentare di ultra-nazionalisti ha cercato d’impedire la risoluzione di condanna, ostinandosi a negare l’esistenza del massacro. È il passato che non passa e continua ad alimentare nostalgie per la Grande Jugoslavia e spinte irredentiste (a cominciare dal Kosovo indipendente). Chi invece guarda in avanti e spinge sull’acceleratore per entrare in Europa è il governo filo-occidentale di Belgrado. La Serbia ha presentato domanda di adesione alla Ue e spera di ottenere lo status di Paese candidato entro la fine del 2011. Certo, ha ancora tanti scheletri nell’armadio e, sopratutto, un fantasma in libertà: quello del principale responsabile del massacro di Srebrenica, il generale Ratko Mladic, su cui c’è un ordine di cattura spiccato dal Tribunale internazionale per i crimini di guerra. Solo quando raggiungerà il suo compagno ideologo, Radovan Karadzic, attualmente sotto processo all’Aja, le scuse della Serbia saranno complete.Attenzione però a buttare tutte le colpe addosso a Belgrado ed agli sgherri di Mladic. Srebrenica è un nome che fa arrossire l’Europa, un marchio d’infamia per l’Occidente e un’intollerabile vergogna per l’Onu i cui Caschi Blu (di nazionalità olandese) ritennero, regolamenti d’ingaggio alla mano, di non dover proteggere ottomila inermi musulmani bosniaci preferendo consegnarli ai loro carnefici. Il Paese dei tulipani fu investito da furibonde polemiche, severe inchieste, dimissioni collettive di ministri e di alti ufficiali. Ma nessuno si preoccupò di chiedere scusa. Anzi, il battaglione che aveva il compito di difendere Srebrenica ricevette una medaglia per il suo coraggio... La Serbia ci ha messo quindici anni per fare mea culpa. Quanto ancora dovremo aspettare perché le anime belle dell’Occidente, su cui sventola orgogliosamente la bandiera dell’interventismo umanitario, chiedano scusa per la colpevole ignavia mostrata a Srebrenica?
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