venerdì 16 novembre 2012
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Sembrano ancora più piccoli i bambini, nel lettone che li riporta in stanza. L’operazione è finita e giri di bende co­prono lo squarcio aperto dai chirurghi per curare il loro cuore malato. Alzano appena la mano al saluto dei genitori, che piangono e ridono ancora increduli di quella fortuna, di quella manna caduta dal cielo che si chiama dottor Marianeschi, dottor Ciuffri­da, dottor Ferrazzi e in tanti altri modi...
Sia­mo in Uzbekistan, ex Unione Sovietica, uno dei molti Paesi in cui decine di professionisti italiani scelgono di trascorrere le ferie ope­rando gratuitamente i bambini cardiopatici condannati a morte certa, non dalla malattia ma dalla povertà. Perché se nel mondo na­scono ogni anno un milione di bimbi affetti da gravi malformazioni cardiache, solo due­centomila hanno accesso alle cure, gli altri ottocentomila soccomberanno. Non i più gravi, i più sfortunati: venuti al mondo in u­na regione in cui la salute è un bene che si compra e la cura – dove c’è – un lusso per ricchi.
Lo ha raccontato bene sulle nostre pagine Vito Salinaro, partito per l’Uzbeki­stan al seguito dei medici italiani, e ora lo fa il videoreportage curato da lui e da France­sco Giase che è stato presentato l’altro gior­no all’ospedale milanese di Niguarda dall’é­quipe di sanitari per narrare ciò che nella nostra società è inimmaginabile (si può ve­dere su www.avvenire.it). Marcel ha un cuore per metà non sviluppato: una patologia solitamente mortale, ma lui ha tenuto duro e ha arrancato fino ai cinque an­ni. Ora però ogni movimento gli costa tanta fatica, sorride appena, le labbra e le unghie blu. «Il suo male è stato diagnosticato tardi perché qui non esistono gli strumenti per fa­re gli esami...», racconta la mamma in uz­beko, per noi un groviglio di consonanti fin­ché alla fine ci raggiunge un suono familiare, « doctòr Marianeschi... ». E qui finalmente sor­ride.
La traduzione spiega: «Lo hanno visitato in tanti da quando è nato, ma tutti ci hanno detto che non c’è niente da fare e Marcel è deperito. Poi un dipendente dell’ospedale ci ha parlato dell’arrivo di chirurghi bravi dal-­l’estero, noi abbiamo tanta fede nel doctòr Marianeschi ». L’Italia vista da qui oggi ha il sapore della Terra promessa, un luogo da fa­vola dove esistono gli ospedali, dove i farmaci si possono comprare nelle farmacie, dove se stai male vai dal medico e ti visita pure. Dove la cura è un diritto e la salute un bene collet­tivo.
Quei due genitori non sanno delle liste d’attesa che anche da noi affliggono e a volte condannano, non sanno dei pochi (ma inac­cettabili) casi di malasanità, né di qualche medico disonesto che, a fronte di migliaia di colleghi esemplari, lucra sui pazienti. Vedono invece ciò che a volte noi non vediamo né apprezziamo più, la professionalità e ancor più la profonda umanità di chi trova norma­le, non eroico, attraversare il mondo per chi­narsi su vite sconosciute.
A oggi i medici 'missionari' del Niguarda e degli Ospedali Riuniti di Bergamo, sorretti dalla Fondazione 'Aiutare i bambini', hanno operato 620 pic­coli, «620 contro ottocentomila che attendo­no, potremmo sentirci scoraggiati. – dice il presidente della Fondazione, Goffredo Mo­dena – Invece no: se ne avessimo potuti aiu­tare 621, quell’uno in più sarebbe una vita salvata. Il problema mondiale non lo scalfia­mo nemmeno, ma quella vita è tutto l’univer­so ». In epoca di tagli («oggi l’annuncio che gli stanziamenti per la cooperazione sanitaria i­taliana calano da 1.200 milioni di euro a 200milioni») tutto questo è possibile grazie a un fiume inarrestabile di solidarietà, alla ge­nerosità di milioni di donatori, all’instancabi­le corrente positiva che contrasta tutti i santi giorni la marea nera del male e dell’ingiusti­zia.
Mentre nel ricco Occidente qualcuno re­clama un 'diritto a morire' e la vita spesso è un vuoto a perdere (eutanasia, suicidio assi­stito, milioni di figli abortiti), nel mondo dei poveri le forze scendono in campo per rega­lare qualche anno in più a un bambino già minato. E le forze scese in campo sono no­stre, parlano siciliano, pugliese, calabrese, campano, umbro, lombardo sono i medici formati dalle nostre università, dalle nostre famiglie e, anche, dalle nostre chiese. Il frutto della nostra cultura e mentalità, fioriti sulle radici cristiane di cui siamo il risultato. Sono la parte più bella di questa nostra Italia.
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