giovedì 9 settembre 2021
Dopo un decennio di politiche monetarie espansive, gli indici dei prezzi hanno ripreso a salire. E non è detto che le banche centrali conoscano la formula per frenarli
La sede della Banca Centrale Europea a Francoforte

La sede della Banca Centrale Europea a Francoforte - Ansa

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Le grandi banche centrali adesso devono evitare di fare la fine dell’apprendista stregone. La storia, scritta da Goethe e resa celebre da Disney, la conoscono tutti. L’esperto stregone lascia lo studio per un po’ e incarica il suo giovane apprendista di fare le pulizie. L’apprendista con un incantesimo anima la scopa, che inizia a pulire da sola versando acqua sul pavimento. In poco tempo le pulizie vanno fuori controllo. Il mago inesperto non riesce a fermare la scopa, tenta di spezzarla con un’accetta ma non fa altro che peggiorare le cose. Quando lo stregone torna trova lo studio inondato. Il problema dell’apprendista stregone è che non conosceva la formula magica capace di fermare gli effetti del suo incantesimo. Fuori dalla favola, e dentro la realtà economica e monetaria dei nostri giorni, qualcuno direbbe che gli mancava una exit strategy, una strategia d’uscita dal guaio in cui si era cacciato.

Fortunatamente la Banca centrale europea e la Federal Reserve americana non sembrano ancora nei guai come il mago inesperto, però rischiano di finirci senza una strategia di uscita chiara dalla situazione anomala che hanno contribuito a creare e che ora sta prendendo una piega inaspettata. La Bce e la Fed nell’ultimo decennio hanno cercato in tutti i modi di fare salire l’inflazione, portandola vicino a quel 2% considerato convenzionalmente il livello 'sano' di crescita dei prezzi. Davvero le hanno provate tutte, a volte inseguendo più o meno esplicitamente anche obiettivi diversi dalla stabilità prezzi che è al centro del mandato di una banca centrale: la tenuta dell’area dell’euro, il contrasto alla crisi bancaria, la ripresa dell’occupazione, la difesa dell’economia dagli effetti del Covid- 19. Hanno azzerato i tassi dei prestiti alle banche (nella zona euro sono a zero da ormai nove anni), hanno lanciato aste di miliardi di euro a tassi negativi per spingere il credito alle imprese, si sono inventate il quantitative easing, emettendo moneta per comprare titoli di Stato e debito privato. Tutte operazioni di politica monetaria nuove, sperimentate fino ad allora soltanto dalla Banca del Giappone, che lotta ormai da trent’anni contro la deflazione. Eppure l’inflazione è rimasta sempre debole.

Gli economisti in questi anni si sono interrogati su questa imprevista 'tendenza secolare' che contrasta con uno dei principi di base della scienza economico-monetaria: l’aumento della moneta in circolazione spinge i prezzi al rialzo. Per un lungo periodo questo non è avvenuto. Ora però l’inflazione è arrivata. In questi mesi la Banca centrale europea e la Federal Reserve si trovano a doversi confrontare con un’impressionante impennata dell’indice dei prezzi. Nella zona euro ad agosto l’inflazione ha raggiunto il 3%, il massimo degli ultimi 10 anni, mentre negli Stati Uniti è al 5,4%, livello che non si vedeva dal 2008. Non è una dinamica normale, perché la pandemia ha reso anormali questi due anni. I lockdown e i blocchi delle attività produttive in tutto il mondo hanno creato anomalie economiche inedite. Dietro al rialzo dei prezzi, per esempio, c’è la forte componente del costo dell’energia, che era crollato quando con le fabbriche ferme la domanda mondiale di elettricità era ai minimi ed è risalito con il graduale ritorno alla normalità. Ci sono poi altri elementi straordinari, come la carenza di microchip, che frena la produzione di automobili e di qualsiasi altro prodotto con una forte componente di elettronica. A questo si aggiunge il rialzo delle quotazioni di quasi tutte le materie prime, comprese quelle alimentari, che sembra anticipare un’ulteriore accelerazione dell’indice dei prezzi al consumo per i prossimi mesi. Sullo sfondo c’è l’attività finanziaria, con fondi abilissimi nello speculare sulle tendenze in corso. È chiaro però che i tassi bassi e l’enorme disponibilità di moneta resa possibile dalle politiche monetarie accomodanti di questi anni, accompagnate dall’aumento della spesa pubblica, sono il contesto ideale per una corsa dei prezzi.

I governatori si mostrano tranquilli: questa fiammata dell’inflazione, dicono, è temporanea. A fine agosto alla conferenza di Jackson Hole, il più importante appuntamento annuale della Fed, il presidente Jerome Powell l’ha messa così: «L’inflazione a questi livelli è, ovviamente, motivo di preoccupazione. Ma questa preoccupazione è mitigata da una serie di fattori che suggeriscono che questi dati elevati potrebbero rivelarsi temporanei». I 'fattori' citati da Powell sono cinque: l’effetto 'imbuto' delle produzioni, che però si sta ridimensionando; i rialzi dei prezzi di beni come i biglietti aerei o le stanze d’hotel, che erano precipitati; l’assenza di forti pressioni al rialzo sui salari; le aspettative sull’inflazione a lungo termine, che restano ancorate al 2%; le grandi tendenze secolari, dall’invecchiamento della popolazione alla digitalizzazione passando per la globalizzazione, che spingono i prezzi verso il basso. Nello scenario della Fed, l’inflazione tornerà verso il 2% già nel 2022. Oggi Christine Lagarde presenterà le nuove stime macroeconomiche della Bce e incontrerà la stampa dopo la riunione del consiglio direttivo della Banca centrale. Molto probabilmente offrirà rassicurazioni simili a quelle del suo collega americano.

Non tutti però sono convinti che la Fed e la Bce abbiano davvero la situazione sotto controllo. Sul portale Project Syndacate, che ospita gli interventi di studiosi e analisti di fama mondiale, negli ultimi giorni sono comparsi interventi autorevoli e preoccupati. Nouriel Roubini, l’economista celebre per avere previsto la crisi dei sub-prime, ha parlato di rischio 'stagflazione', una letale combinazione di recessione e crescita dei prezzi, simile a quella che gli Stati Uniti hanno vissuto negli anni Settanta. Kenneth Rogoff, che è stato capo economista del Fondo monetario internazionale e oggi insegna ad Harvard, ha confermato i timori: «L’umiliante sconfitta dell’America in Afghanistan è un grande passo avanti verso la ricreazione della tempesta perfetta che ha portato alla crescita lenta e all’inflazione molto alta degli anni ’70. Qualche settimana fa, un po’ di inflazione sembrava un problema gestibile. Ora i rischi e la posta in gioco sono più alti». Larry Summers ha rilanciato via Twitter le preoccupazioni dei colleghi, rafforzandole: «Tutte le volte che sentite che l’inflazione è transitoria – ha scritto l’ex segretario al Tesoro di Bill Clinton – ricordatevi che il rialzo a due cifre dei prezzi delle case non si è ancora materializzato negli indici. Le case rappresentano il 40% dell’inflazione core (quella che esclude gli effetti di energia e alimentare, ndr)».

Se i 'falchi' che vedono il rischio di un’inflazione fuori controllo hanno ragione, le banche centrali devono essere un po’ meno 'colombe': iniziare o accelerare la riduzione degli stimoli monetari e incamminarsi verso un ritorno dei tassi di interesse a livelli più normali. Se invece i falchi hanno torto, e davvero l’inflazione è temporanea, ai governatori non resta che tenere d’occhio l’indice dei prezzi e magari procedere con qualche aggiustamento minore della strategia monetaria. In entrambi casi è un passaggio molto delicato per la Bce e per la Fed, perché ridurre gli stimoli rischia di frenare la ripresa dopo il devastante choc della pandemia, ma mantenerli potrebbe alimentare l’inflazione e costringere a un inasprimento monetario molto più brusco il prossimo anno.

Bisogna sperare che le colombe abbiano ragione. Nella storia dell’apprendista stregone è il mago esperto che, al suo ritorno, rimette a posto le cose in un attimo con una formula magica. Ma qui lo stregone non c’è: nessuno negli uffici della Fed e della Bce ha avuto esperienza di politiche monetarie in contesti di pandemia né di strategie di rientro da politiche economiche ultrastraordinarie. La credibilità dei nostri banchieri centrali non è mai stata così a rischio. E la loro abilità nel gestire l’imprevisto non è mai stata così importante.

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