venerdì 15 giugno 2012
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​Non capire il legame tra solidarietà e interesse individuale è soprattutto una questione di scarsa intelligenza oltre che di mancato slancio di generosità. Se l’Unione Europea ha un rapporto tra debito e Pil aggregato al di sotto del 90 per cento e vive una terribile crisi finanziaria, mentre un Paese come il Giappone ha un rapporto debito/Pil del 239 per cento e nessuna crisi finanziaria, il problema è l’inettitudine dell’Unione Europea e la sua incapacità di gestire il rapporto con una finanza internazionale fuori controllo. Una finanza che ha interesse a creare crisi e volatilità perché è su quello che può realizzare i migliori guadagni. Le istituzioni però, non dimentichiamolo mai, hanno un vantaggio decisivo sulla speculazione, quello di poter scrivere le regole. Perdono la partita solo quando decidono di non sfruttare questo vantaggio. Per semplificare all’estremo nella giungla delle proposte e delle iniziative da cui siamo inondati in questi giorni basterebbe semplicemente dare alla Bce il potere di acquistare direttamente titoli pubblici (anche soltanto sul secondario per difendere un livello di spread ragionevolmente basato sui fondamentali) in cambio di cessione di sovranità fiscale degli Stati. A questo punto penso tutti (anche i cosiddetti paesi forti dell’area euro) abbiano capito, anche se in ritardo e con fatica, i costi e i rischi dell’implosione della moneta unica. Basta guardare ai saldi del sistema dei pagamenti Target 2 dove la Germania vanta crediti per 673 miliardi di euro verso gli altri Paesi dell’eurozona per capire quale disastro sarebbe il collasso della moneta unica. Purtroppo questo non basta perché, se tutti pensano che sarebbe meglio arrivare ad un accordo, il difficile è mettersi d’accordo sui dettagli (che in concreto determinano costi e benefici di ciascuno Stato membro). Ci vorrebbe un sussulto di fiducia e di solidarietà, quella capacità di andare oltre il calcolo ragionieristico e miope dei propri vantaggi e svantaggi di breve periodo calcolati peraltro sulla base dell’ipotesi che la tempesta non possa mai accadere. È su questi argomenti che Mario Monti sta cercando di convincere i maggiori partner dell’Unione, al punto di cancellare un viaggio in America Latina per incontrare il premier francese François Hollande in vista del Consiglio europeo del 28 giugno. I due leader hanno provato ieri a concordare una linea comune nel tentativo di convincere Merkel sulla necessità di un pacchetto di misure veramente decisivo agli occhi dei mercati. Argomenti cruciali, in questo senso, sono l’introduzione di una vigilanza e un’assicurazione dei depositi bancari a livello europeo; la messa in comune dei debiti, ad esempio attraverso l’European Redemption Pact, delineato tra l’altro da un istituto di studi tedesco; la libertà di azione della Bce sul mercato secondario dei titoli di Stato, che dovrebbero poter essere acquistati direttamente, e non surrettiziamente attraverso la capitalizzazione delle banche. In cambio di questo, a Berlino verrebbe garantito il necessario passaggio a una disciplina fiscale comune. Sul primo punto sembra esserci una timida apertura, ma sui due seguenti la cancelliera tedesca non pare voler cedere. Ma se Francia e Italia non riusciranno a convincere la Germania anche sul resto, e il vertice di ieri è servito proprio a rafforzare il fonte comune, è difficile immaginare vie d’uscita alla crisi europea.
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