I social solo al medesimo tempo il luogo della massima libertà e della massima costrizione. Di conseguenza sono anche il luogo nel quale ciascuno di noi (naturalmente se ci vuole essere, perché si può vivere benissimo anche senza una presenza social) è chiamato a esercitare il massimo della responsabilità.
I social sono il luogo della massima libertà per il motivo che il professor Leonardo Becchetti ha ricordato nel suo editoriale dell'11 agosto, dal titolo "La tragedia dei social. Beni comuni e discorso pubblico". Becchetti paragona i social media (in particolare Twitter) allo Speaker's Corner ad Hyde Park a Londra, luogo tradizionale di discorsi pubblici e dibattiti. "La nascita di Twitter significa di fatto che lo Speaker's Corner diventa globale e ciascuno di noi può parlare (avendo il veicolo della lingua) potenzialmente all'intero pianeta superando barriere spazio-temporali", scrive Becchetti. È sempre utile ricordare questo fondamentale punto di partenza, soprattutto per i professionisti dei media e della politica, i quali sovente postano contenuti come se ignorassero questa fondamentale caratteristica social e quindi come se si rivolgessero unicamente al proprio interlocutore di turno, ignorando le conseguenze pubbliche del loro gesto comunicativo.
I social, continua Becchetti, sono "un ampliamento importante delle nostre possibilità di dialogo e dibattito nel nuovo contesto della globalizzazione digitale.". Dialogo e dibattito sono una coppia di termini da analizzare con attenzione.
Alla Scuola di specializzazione in comunicazioni sociali dell'Università Cattolica, il mio insegnante di retorica mi ha insegnato che il dibattito avviene quando si discute con qualcuno mantenendo fermi i propri convincimenti. Cosa ben diversa dalla discussione, situazione in cui si è disponibili a riconsiderare le proprie convinzioni di partenza. Fatta la distinzione, dialogo e dibattito possono e devono stare assieme anche nei social. Si può dibattere on line anche accanitamente, ma senza per questo venire meno al rispetto dell'interlocutore. Prima che di persona, ho conosciuto Becchetti tramite i suoi editoriali ma, soprattutto, tramite la sua presenza in twitter, dove entrambi siamo presenti da molti anni con impegno e assiduità.
Abbiamo dialogato, (lui professore, io deputato) è successo di non essere d'accordo nel merito della questione in oggetto, ci siamo talora rimproverati, ma lo abbiamo fatto sempre con grande rispetto reciproco, ciascuno di noi cercando di dare conto pubblicamente delle proprie ragioni.
Abbiamo quindi usato al meglio lo spazio di libertà che ci veniva offerto. Uno spazio che però, come ho detto all'inizio, è anche un luogo dove viene esercitato il massimo della costrizione, perché il nostro dialogo online è sempre "sorvegliato" dell'algoritmo. Becchetti nel suo editoriale ci ricorda che la differenza fondamentale tra l'ideale dello Speaker's corner e una piattaforma gestita di microblogging. "è che nella seconda situazione non è il caso a far incontrare oratori e uditori, ma un algoritmo di prioritizzazione."
Per questo possiamo dire che i social sono al tempo stesso luogo di libertà e di costrizione, perché gli algoritmi di intelligenza artificiale che regolano il traffico social non sono nella nostra disponibilità ed è noto che essi sono costruiti per sottoporci temi divisivi, polarizzanti, utili ad avere la nostra attenzione e a ricavare dalle nostre reazioni dati su di noi, dati che poi vengono usati per personalizzare al massimo le pubblicità che ci raggiungono appunto via social.
Da questa condizione di costrizione asimmetrica, esiste però una via di uscita: quella della responsabilità consapevole. Gli algoritmi li "educhiamo" noi, ciascuno di noi, con il nostro comportamento online. Le persone che seguiamo, i contenuti altrui sui quali ci soffermiamo e rispetto ai quali mostriamo interesse con le nostre reazioni digitali, quelli che noi postiamo, sono le modalità attraverso le quali noi possiamo sfruttare a nostro favore la forza soverchiante e impersonale dell'algoritmo, che agisce in base a ciò che facciamo noi. Quindi possiamo trasformare la costrizione in una costruzione di rapporti e di dialoghi veri, uscendo dalla trappola della reazione emotiva, a favore di una azione mirata e consapevole. Dipende solo da noi. Da te e da me, perché alla fine i social sono uno specchio. Riflettono ciò che ciascuno di noi ci mette dentro.
Fondatore e presidente Fondazione Pensiero Solido