sabato 28 gennaio 2017
Vale la pena mettere a rischio la maggioranza di governo per una battaglia ideologica di pochi o, come alcuni insinuano, è proprio questo il secondo fine?
Testo lacunoso e ideologico. Si rischia l'eutanasia, non ci arrenderemo
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Non occorrono nozioni scientifiche o di bioetica per capire che il testo adottato dalla Commissione Affari Sociali della Camera sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), e del quale è iniziata la discussione sugli emendamenti, ha come unica finalità la possibilità di sospendere idratazione e alimentazione artificiale, che equivale all’introduzione dell’eutanasia passiva nel nostro Paese.

È forte la sensazione che i sostenitori di questo testo siano mossi principalmente dal desiderio di intestarsi la vittoria ideologica della libertà assoluta di un soggetto di scegliere anche come e quando morire, imponendo al Servizio sanitario nazionale di assisterlo nel suicidio. Si vuole così riuscire laddove altri colleghi hanno fallito nelle precedenti legislature. Di questo e di nient’altro si tratta. Ciò spiega le enormi lacune di un testo scarno, contraddittorio e farraginoso.

Basti pensare che vi si sancisce la possibilità di sospendere idratazione e alimentazione assistite, dimenticando di indicare quali debbano essere le condizioni cliniche e, quindi, quando inizi l’efficacia delle Dat. Si precisa cosa si può sospendere ma non da quando, e neppure in quale stato patologico. Invece mi pare pacifico che le Dat si debbano applicare solo in presenza di una situazione clinica di incapacità permanente, dunque in una condizione di 'stato vegetativo', per evitare il rischio – altissimo – che al paziente temporaneamente incapace di comunicare con il personale medico venga sospesa una cura salvavita. Nel testo del disegno di legge non ci si è soffermati sulla funzione di idratazione e alimentazione, ignorando che si tratta di forme di sostegno vitale necessarie e fisiologicamente indirizzate al nutrimento e ad alleviare le sofferenze del soggetto in stato terminale. Ciò che conta pare solo la libertà di poterne fare a meno.

Quella in discussione è una proposta di legge privata persino delle sue finalità e di ogni principio. Eppure si tratta di legiferare in materia di «fine vita», di un momento dell’esistenza cioè in cui maggiormente si manifesta la fragilità dell’essere umano. Negli articoli del progetto il fine vita diventa un affare privato, sul quale si decide in un’epoca antecedente senza contemplare i cambiamenti nel frattempo intervenuti nella medicina, svilendo le figure del medico e del fiduciario ridotti a meri esecutori di volontà di morte già stabilite. Ma si può chiedere a un medico di attenersi rigidamente alle Dat e di ignorare il progresso scientifico nel periodo successivo alla loro sottoscrizione? Gli si può chiedere di non agire secondo scienza e coscienza, restando inerme dinanzi all’evoluzione di una patologia che potrebbe essere contrastata, senza neppure la possibilità di proporre alternative? Analogamente, non ha più senso un fiduciario che la proposta di legge ingabbia nelle disposizioni espresse dal paziente, senza poter dialogare con il medico quando lo rappresenta.

L’articolato non è neanche al passo con i tempi, ignorando quanto i farmaci innovativi stiano cambiando la medicina. Si pensi a ciò che è accaduto in àmbito oncologico negli ultimi 5 anni, con l’arrivo di farmaci che non provocano più effetti collaterali e garantiscono alti tassi di guarigione: eppure, in presenza di una Dat in cui un soggetto ha espresso il rifiuto a ogni trattamento sanitario oncologico, perché riferito ai vecchi farmaci chemioterapici, davanti a un paziente privo di coscienza il medico non potrebbe proporre l’alternativa del farmaco innovativo «se non in presenza di motivate e documentabili possibilità di poter conseguire concretamente miglioramento nelle condizioni di vita», come si legge nel ddl. Ma in medicina non sempre tutto si può documentare.

Quello in corso di discussione sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento è un testo che qualcuno vorrebbe inviare frettolosamente in Aula anche se non è condiviso da Area popolare, partito che è componente essenziale della maggioranza di governo, e anche se spacca il Paese, che in questo momento ha tutt’altre priorità sulle quali sono indispensabili condivisione e unità. La proposta di legge così formulata non avrà mai il mio voto favorevole, come quello di molti altri colleghi. Vale la pena mettere a rischio la maggioranza di governo per una battaglia ideologica di pochi o, come alcuni insinuano, è proprio questo il secondo fine? *capogruppo di Area Popolare in Commissione Affari Sociali della Camera

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