mercoledì 27 gennaio 2010
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Spero che i politici che giustamente parlano di integrazione dei giovani immigrati, nonché di conoscenza e di rispetto delle radici culturali proprie ed altrui, si rendano conto che il primo biennio delle superiori – ultimo tratto dell’obbligo scolastico – è il limitato campo in cui è veramente in gioco l’esistenza o l’annullamento delle loro buone intenzioni. Perciò trovo improvvidi i tagli previsti nei futuri bienni alle ore di Storia e Geografia: si tratta infatti dell’unica occasione per molti di arrivare ad una condivisione della memoria storica comune, quindi di conoscere le realizzazioni di valenza potenzialmente universale che sono il portato della antica civiltà euro-mediterranea. Mi limito a ricordarne alcune: libertà di pensiero, di religione e di espressione; alfabeto e principali generi letterari; spirito razionale e metodo critico; diritto e principi di tolleranza; concetto di Stato e di cittadinanza; le tre grandi religioni monoteiste. Non si vede per quale motivo la Storia dei periodi delle origini e degli sviluppi basilari del nostri modi di essere e di pensare, dei nostri linguaggi e di quasi tutte le stesse discipline d’insegnamento, debba disporre di meno ore ancora delle attuali (solo 2, o addirittura 1 e mezza, se si considera diviso a metà l’ambiguo aggregato ora introdotto con la dicitura Storia/Geografia). Chi non sa da dove viene e dove si trova, temo abbia ben poche possibilità di arrivare mai da qualche parte.

prof. Fabrizio Polacco, Roma

Caro direttore,vorrei denunciare all’opinione pubblica quello che sta accadendo in questi giorni sulla pelle dei giovani, futuri cittadini europei. Nella Riforma Gelmini della scuola secondaria accade che la Geografia come disciplina autonoma scompaia in alcuni indirizzi degli Istituti tecnici dove era presente nei curricula come disciplina professionale o è ridotta a poche ore, mentre nei Licei è insegnata all’interno delle discipline letterarie. Questa scelta, a mio parere, penalizza i giovani di saperi essenziali ed insostituibili, oltre a privarli dei valori formativi che sono alla base di tale disciplina. Mi riferisco all’educazione interculturale, ai valori della tolleranza, al rispetto dell’ambiente oltre ai concetti che rendono un cittadino consapevole in un mondo globalizzato e aperto ai cambiamenti. Non è valido sul piano educativo mettere da parte, per una certa insensibilità pedagogica, l’unicità del sapere a cui ogni cittadino ha diritto e a cui tutte le discipline concorrono per una scelta mirata solo al risparmio economico, quale è la prospettiva che ha mosso la Riforma della scuola superiore. Sono allibita, alla luce della mia più che trentennale esperienza di docente che tra qualche anno lascerà la scuola per questa scelta. Quanto accade nella realtà italiana ci allontana dall’Europa e mortifica i nostri giovani studenti nel diritto di essere persone aperti alle richieste professionali del mondo di oggi ma anche del futuro. Mi auguro che chi ha il compito istituzionale di decidere sappia mettersi in gioco considerando gli effettivi interessi civili.

prof. Maria Patrizia Bellincontro, Bari

Chi ci segue sa quanta attenzione prestiamo al tema della scuola nella molteplicità delle sfaccettature in cui si declina: dalla libertà educativa al diritto allo studio, dalla didattica al rapporto con le famiglie, dall’integrazione dei ragazzi immigrati al rapporto col territorio... Abbiamo guardato alle varie fasi del processo di riforma che nell’ultimo decennio hanno coinvolto il panorama scolastico senza porre paletti pregiudiziali, ma valutando in ogni occasione la corrispondenza delle scelte a un disegno realmente evolutivo, sul piano dell’efficacia didattica come su quello della crescita civile. Con queste premesse, è per me naturale associarmi alle vostre perplessità, cari professori. L’obiettivo condivisibile di riduzione del monte ore di lezione nella scuola superiore va modulato con un’accurata considerazione delle priorità. E considerando quanto cruciale sia oggi il problema dell’integrazione dei nuovi cittadini, cioè degli immigrati, appare poco lungimirante la scelta di comprimere proprio le materie scolastiche in cui più naturalmente il confronto tra le culture può trovare spazio. So bene che ogni scelta ha un corrispettivo economico; in questo caso vorrei questo fosse valutato non soltanto sulla base del costo-docente, ma anche considerando l’indubbio guadagno di giovani cittadini più consapevoli e integrati. Dal mio punto di vista il risultato giustifica ampiamente il prezzo. Spero che, alla fine, sia così anche per Ministero e Parlamento.
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