Francesco e la via della potenza impotente
martedì 18 aprile 2017

In questo tempo, in cui gli scenari di guerra sono improvvisamente diventati palpabili, in cui il terrorismo continua a colpire a caso cittadini innocenti e in cui le tragedie umanitarie sono diventate così numerose da creare un sottile strato di indifferenza, papa Francesco è tornato a sollecitare con forza la Chiesa – e con essa l’intera cristianità – a recuperare la consapevolezza della propria originalità. Il genio del cristianesimo è stato quello di aver tracciato una relazione originalissima tra azione, potenza e impotenza. A partire da due assunti teologici che, per quanto spesso contraddetti, qualificano strutturalmente la religione cristiana.

Il primo è quello dell’incarnazione, cioè del Dio che sceglie di farsi uomo. Il secondo è quello della crocecome via e condizione di salvezza. Certo, Cristo è poi vittorioso attraverso la resurrezione. Che rimane tuttavia un fatto nascosto, svuotato di ogni trionfalismo e affidato alla flebile voce del discepolo-testimone. Il messaggio di salvezza, per quanto inaudito (la resurrezione) si trasmette solo perché sussurrato da un orecchio all’altro. In questo modo, il cristianesimo ha introdotto, nell’intera vicenda occidentale, un elemento anomalo rispetto al ruolo delle religioni nel mondo sociale.

Il Dio cristiano mantiene l’attributo dell’onnipotenza, ma la sua caratteristica è quella di manifestare il proprio potere attraverso una salvifica "impotenza". Che il cristianesimo sia stato sempre capace di mantenersi fedele a questa vocazione non si può purtroppo dire. E tuttavia, nonostante tutti i tradimenti, la religione cristiana non ha più potuto scrollarsi di dosso il senso profondo dell’insegnamento del suo fondatore. Per quanto gli stessi cristiani abbiamo ripetutamente agito in senso contrario, in Occidente la matrice dell’annuncio evangelico ha irrimediabilmente spezzato l’intima connessione tra religione e potenza.

Gli anni che stiamo vivendo hanno un tratto abissale perché si pongono su una faglia profonda che tocca esattamente questo aspetto. Alle nostre spalle abbiamo i secoli in cui la potenza ha preso la sua forma politica. Mentre prima della Riforma, essa apparteneva a Dio – di cui il sovrano era semplice servitore – con la modernità è lo Stato che diventa il detentore monopolistico della potenza. Rivendicando una rigida divisione tra Stato e Chiesa, la società politica ha anche stabilito una nuova relazione tra i mezzi e i fini (con i primi che hanno cominciato a contare più dei secondi) che sempre più faticosamente è poi riuscita a sostenere. Ecco perché, nella seconda metà del XX secolo, il baricentro della potenza si è progressivamente spostato verso la tecnica. La 'società tecnica' è figlia di quella politica perché ne completa il progetto: senza più fini – né celesti né terrestri – al suo centro non ci possono essere che i mezzi.

La globalizzazione ha rappresentato il primo embrione storico di questo modello sociale che però, dal 2008, è entrato in una fase di crisi. Ecco allora il ritorno – confuso e pericoloso – della potenza politica e di quella religiosa (con tutti i loro possibili intrecci) cui assistiamo in questi anni. Papa Francesco è convinto che l’epoca della potenza terrena per la Chiesa sia definitamente tramontata. Chi (tutti i fondamentalisti) cerca di riesumare quella condizione, dentro e fuori il cristianesimo, non può che ricorrere all’uso della forza. L’obiettivo di Francesco allora è un altro: rendere la Chiesa cattolica – e, se possibile, anche le altre religioni – una potenza impotente, e per questo capace di contrastare le logiche disumane che ogni potenza umana (religiosa, politica, tecnica) alla fine porta con sé. Per far questo, la partecipazione della religione alla vita pubblica va liberata dal sovraccarico derivante dalla pretesa di organizzare e regolare l’intera vita individuale e collettiva.

Non si tratta di 'sacralizzare' l’intero universo simbolico sociale. Piuttosto, di custodire l’apertura al mistero – attraverso una preghiera che ricorda di nascere etimologicamente dalla stessa radice di 'precario' – e insieme la sacralità di ogni singola vita umana – a partire da quella più piccola, fragile e dimenticata. Per questo, Francesco sollecita la Chiesa a non esaurirsi in una organizzazione sociale rigida, a non chiudersi in una dottrina definita e definitiva. Nella convinzione che, nella società globale contemporanea, il 'potere' della religione – di certo di quella cristiana – sia di essere una voce, autorevole e credibile, in grado di ricordare che anche la più straordinaria capacità di azione umana (tecnica o politica) è destinata a rivelarsi insufficiente e inadeguata, anche se non per questo insignificante.

Nel tempo che viviamo, solo uno sguardo verticale capace di stare vicino agli abissi del mondo può riuscire in tale impresa. Così, con i mezzi semplici di cui dispone, il Papa indica come ridisegnare la relazione tra le tre matrici della potenza sociale (religione, politica e tecnica). In una visione che ricompone e riconcilia i grandi accadimenti della storia e la vita di ciascuno di noi. Si tratta di un disegno ardito, tanto più in uno scenario globale che sembra preda di tensioni distruttive. Per le ragioni che è facile intuire, dobbiamo tutti sperare che dia frutto.

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