mercoledì 28 gennaio 2015
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Caro direttore, in una lettera ad “Avvenire” pubblicata il 23 gennaio il signor Salvatore Scelfo, segretario nazionale della Filca-Cisl e delegato di quel sindacato di lavoratori per la Legalità e l’Ambiente ha tessuto le lodi della Tav affermando che dà lavoro a migliaia di persone e che farà andare da Milano a Parigi in 4 ore anziché 7. Ma che senso ha spendere 8,2 miliardi di euro (dati ministeriali) per scavare una galleria di 50 km solo per guadagnare 3 ore di viaggio? Con la stessa cifra si potrebbero ristrutturare 15mila scuole o altri edifici pubblici e dare lavoro a 150mila persone (dati Enea, riportati dal Movimento per la Decrescita Felice). Chi lavora nel sindacato dovrebbe porsi il problema di come investire al meglio le risorse per creare occupazione che sia anche utile e cercare di orientare i decisori politici a sostenere il settore della ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici e della salvaguardia e protezione del territorio. Le cifre che ho fornito dimostrano che la Tav è non solo una grande opera costosa e inutile ma anche che è in grado di creare poca occupazione rispetto a tante piccole opere diffuse.
 
Luca Salvi, Verona
Le nostre rispettive sensibilità e opinioni sono coincidenti o assai vicine su molti temi, caro dottor Salvi, ma non su questo. Uso spesso la linea ferroviaria ad alta velocità tra Milano e Roma (con prolungamenti ciclici sino a Torino, a nord, e sino a Napoli, a sud). La uso e ne godo, da cittadino e da viaggiatore. Un servizio così comodo ed efficiente mi ha permesso di abolire quasi del tutto la necessità di ricorrere all’auto su questa direttrice e sulle sue tratte intermedie. So bene che non tutta la rete del trasporto su ferro è in questa condizione ottimale. Ecco perché continuo a spendermi per un servizio ferroviario che non solo ci inserisca con standard elevati nelle grandi vie continentali di comunicazione, ma che colleghi al meglio tutte le aree del nostro Paese con decente qualità e frequenza (su “Avvenire” ne abbiamo scritto a più riprese e in diverse occasioni, dando voce a pendolari, a custodi dell’ambiente e delle vocazioni culturali e turistiche dei territori italiani, a gestori e organizzatori del servizio, a operatori economici…). Ho ascoltato e ragionato sulle obiezioni contro l’opera in Val Susa, ma non mi hanno convinto. E le gazzarre di ieri dopo la sentenza di condanna di primo grado inflitta a Torino a 47 No Tav accusati di atti di violenza mi convincono ancor di meno. Mi piace e mi conforta, invece, il modo prudente e deciso di procedere – il 21 gennaio scorso Paolo Pittaluga lo ha ben raccontato sulle nostre pagine – adottato in quel cantiere doppiamente difficile. Non credo nemmeno che si tratti di porre un’alternativa tra la costruzione della tratto ad alta velocità Torino-Lione e la crescita del livello complessivo del servizio ferroviario, e tantomeno tra lo sviluppo e l’ammodernamento di grandi vie di comunicazione e la ristrutturazione e riqualificazione energetica del patrimonio edilizio nazionale (scolastico e no). Sono tra quanti pensano, semplicemente ma non semplicisticamente, che c’è da fare l’una e l’altra cosa. E che è possibile se per centrare gli obiettivi, e per riuscirci in modo coinvolgente e sostenibile, si dà spazio a una collaborazione feconda (e sussidiaria) tra Stato e forze vive della società. La logica è sempre la stessa: non aut aut, ma et et. Noi cristiani dovremmo saperne qualcosa di questa saggezza. Sono quasi sicuro di non essere riuscito a convincerla del tutto, gentile amico, proprio come lei con me. Ma le confermo di averla “ascoltata” con interesse e la ringrazio per avermi spinto a mettere il fila questi brevi pensieri. Dialogare con persone intelligenti e appassionate al bene comune è sempre utile.
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