Referendum su eutanasia e cannabis: tendenze populiste e scelte sociali
martedì 30 novembre 2021

Caro direttore,
sono estimatore e amico di Luigi Manconi. Abbiamo fatto qualche esperienza politica comune: dall’Ulivo al Campo progressista di Giuliano Pisapia. Ma non mi ritrovo nelle riflessioni da lui affidate a una lettera aperta a Enrico Letta, che si è espresso con cautela in tema di referendum su eutanasia e cannabis, asserendo che «non sono iniziative del Pd, rifletteremo». Chiarisco subito: prescindo dal merito. Trattasi di questioni complesse. A non convincermi è il filo del ragionamento a monte. Dissento sui presupposti e sul metodo, al netto del merito. A sostegno della sua tesi, Manconi evoca precedenti referendum – in particolare naturalmente su divorzio e aborto – che avrebbero mostrato come la società fosse «più matura» di certa politica e segnatamente della Dc. Obietto. a) Si tratta di questioni affatto diverse: l’accostamento delle questioni di oggi a quelle di allora, ma anche quello tra divorzio e aborto mi sembrano tirati. b) Quei precedenti vanno storicizzati. È trascorso quasi mezzo secolo, ragionarne con il senno di oggi, banalizza la portata della contesa di ieri. Era un’altra Italia, un altro mondo. E soprattutto mi chiedo: che significa che la società è «più matura» della politica? D’accordo, la politica e le leggi non possono non considerare l’evoluzione del costume, ma domando: una buona politica non deve a sua volta ispirarsi a un sistema di valori che non sempre e di necessità si metta acriticamente al carro del sentire prevalente? Dotandosi di un punto di vista e dunque di un giudizio di valore circa ciò che sarebbe espressione di una imprecisata 'maturità'. Qualche volta la politica, battendosi per una causa che considera giusta (questo il parametro più appropriato: ciò che si giudica giusto) può anche mettere nel conto la sconfitta. Una politica dogmaticamente subalterna al mooddominante non è esposta al rischio medesimo delle tendenze populiste? Insomma, sarei per un rapporto circolare tra politica e società, tra ancoraggio a valori (certo plurali) e ricerca del consenso. C’è un secondo punto sul quale Manconi non mi convince. Egli sostiene che la sinistra deve coniugare diritti civili e diritti sociali – e io sono d’accordo, tanto è ovvio – ma nega la deriva di essa verso uno sbilanciamento a discapito dei diritti sociali e del lavoro che a me invece pare vistosa al punto da minarne la ragion d’essere, da contraddire la sua migliore tradizione, da reiterare il suo divorzio dai ceti popolari. È proprio questo che sta conferendo alla sinistra un profilo elitario. Sul punto, Manconi e io abbiamo due opinioni diverse. Ci sta. Solo che, in coda alla sua missiva a Letta, egli si contraddice rispetto alla sua tesi maggiore, quella di una società più avanti (?) della politica, sostenendo l’esatto contrario: e cioè che, su entrambi i fronti – diritti civili e diritti sociali – la coscienza collettiva sarebbe in ritardo rispetto a certe iniziative parlamentari o referendarie. Mostrerebbe cioè un «tiepido interesse». Implicitamente riconoscendo che meriterebbe operare un più accurato discernimento dell’ethos del Paese e del rapporto tra politica e società. In terzo luogo, c’è il tema del referendum. Personalmente, nutro una certa riserva verso l’inflazione di uno strumento che i costituenti concepirono come eccezione nel quadro di una democrazia parlamentare. Mi ostino a pensare che il referendum, con la sua logica binaria (sì-no), mal si concili con questioni in sé complesse che piuttosto esigono una meditata istruttoria e un trasparente confronto parlamentare. Vale per la cannabis e ancor più per l’eutanasia. Di più – so di sfidare l’impopolarità – nutro una preoccupazione verso l’innovazione recente, introdotta con un estemporaneo emendamento grazie al quale, con un semplice click dal proprio computer, si può firmare per la richiesta di referendum. Con il risultato di fare schizzare in alto il numero delle firme e inflazionare i referendum. Rispondevano a una funzione gli storici banchetti: essi comportavano un lavoro e un impegno a chi li allestiva e a chi apponeva la propria firma così da propiziare una riflessione e un confronto pubblico che certificassero un reale, concreto, largo interesse dei cittadini. Non un ostacolo, ma un esercizio utile alla democrazia intesa come pratica che impegna. Ben oltre la pressione di un dito sulla tastiera.

Franco Monaco

Anch’io stimo Luigi Manconi e condivido con lui e con te, caro Monaco, una sincera passione per i poveri, i deboli e i perseguitati, quale che sia il motivo della persecuzione e la modalità con cui essa si realizza. Ma come e più di te sono in cordiale disaccordo con Manconi in una sopravvalutazione condotta, a mio parere, da certo dirittismo (invece che evocare sempre ulteriori 'diritti civili', che per me sono quelli di cittadinanza puri e semplici, preferisco definire e difendere chiari 'diritti umani', che sempre hanno umana proporzione). E pur rispettando ogni comprensibile anelito personale e ogni sofferenza esistenziale temo la sottovalutazione delle derive individualistiche in atto, che incentivano anche i populismi, veri è propri individualismi di gruppo e persino di massa. Da cronista interessato di questa fase politica (anche) in Italia, do perciò volentieri spazio al tuo appello a Enrico Letta, leader del Pd, e lui auguro di riflettere da par suo su tutti e tre i punti che gli sottoponi: valori di riferimento e pensiero dominante, recupero della dimensione sociale, politica del click. Credo che sia un esercizio buono per resistere alle pressioni e ai richiami che il referendarismo digitale su omicidio del consenziente e legalizzazione della cannabis sembra ingigantire, ma che in realtà non sono sicura espressione di un ethos popolare e delle vere preoccupazioni di quanti si aspettano anche dalla politica e nella politica risposte equilibrate e umane a un tempo sbandato.

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