martedì 24 luglio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
Sono diverse le reazioni che si vanno registrando da quando Avvenire ha preso di petto il dramma dei roghi tossici che avvelenano la Campania. Quella dei semplici cittadini, innanzitutto. Sono loro i più indignati, offesi, inorriditi. Sono loro che non riescono a rendersi conto di come questo scempio abbia potuto verificarsi e ancora continui. Sono tanti coloro che ci scrivono da ogni parte d’Italia per chiedere spiegazioni. Ci sono poi le reazioni di chi sente chiamato in causa e non gli fa piacere. Che cosa fa costui? In genere nega. Nega l’evidenza. I motivi sono diversi. C’è chi non può parlare perché nel passato, più o meno recente, in qualche modo ha sporcato anche le sue mani con i "rifiuti d’oro". Li chiamano così e non hanno tutti i torti. Se ha fatto comunella con chi sversava illegalmente, è evidente che oggi non può parlare. I roghi sprigionando un fetore velenoso? Ci sono sempre stati. Bruciano tonnellate di pneumatici? La colpa è dei rom che lo fanno per sopravvivere. Insieme a migliaia di copertoni bruciano altre sostanze tossiche? E chi lo ha detto? Chi lo ha certificato? Nella striscia di terra tra Napoli e Caserta si muore di cancro più che altrove? Non è vero, sono i soliti medici allarmisti che non amano la loro terra. Colpa loro se il turismo registra un calo preoccupante. C’è poi chi non parla per paura. C’è di mezzo la camorra in questa tristissima storia maledetta. Meglio tacere e tornare a casa la sera. Tengo famiglia. Già, tutti tengono famiglia. In privato, però, si lasciano andare con gli amici. Gli interessi, sussurrano a mezza voce, sono tanti. Troppo complicato è il meccanismo. Troppe omissioni. Troppi affari occulti. Troppi commerci fatti. Troppe promesse non mantenute. Non si sa dove andare a cercare il bandolo della matassa. In questi anni si sono susseguiti governi di destra e di sinistra. Andare oggi alla ricerca del colpevole è difficile. Come si fa? Si attende. Poi si vedrà. Certo occorre fare le bonifiche. Ma ci vogliono milioni e con la crisi che attraversiamo è meglio non parlarne. Ma nella zona detta "Cantariello" tra i Comuni di Casoria e Afragola c’è un sito che spaventa. La terra fuma senza bruciare. Come la solfatara di Pozzuoli. È sotto sequestro, ma i fumi non si lasciano impressionare dagli steccati. E a pochi metri, in cento catapecchie fatiscenti, vivono i rom. Con i loro bambini che ignorano che cosa sia mai quel fumo. E sulla superstrada adiacente passano le macchine – tante – con i loro passeggeri. Intanto qualcuno ha forzato il cancello e ha ripreso a sversare. Solo le "sentinelle buone", i mille volontari del vivere civile se ne fanno carico. E telefonano. E denunciano. C’è poi chi non parla perché in odore di carriera non vuole tarparsi le ali. E tormenta le parole in mille modi per non dire ciò che andrebbe finalmente detto. La gente va al cuore del problema. Non ne può più. I veleni che respira le bruciano la gola, la pelle, gli occhi. Ha pianto già i suoi morti e ora teme per i vivi. Cerca parole vere. Ma ancora non trova chi le dice. E si arrabbia. Si deprime. Si scoraggia. C’è poi la notte. La notte buia quando tutte le vacche sembrano nere. La notte che, senza volerlo, si rende complice del male. Di notte gli uomini normali dormono. "Loro" invece non dormono mai. Di notte il fumo non si vede anche se si sente il puzzo di bruciato. "Loro" sanno che in quelle campagne nessuno verrà a cercarli. Non lo fanno di giorno, figurarsi di notte. E bruciano. Bruciano. Bruciano. Mentre la gente muore. Tra l’indignazione dei buoni e il cinismo dei prepotenti e degli ignavi. Il ministro Clini ha promesso di intervenire in tempi rapidi. Noi gli crediamo. Gli dobbiamo credere. Noi ancora crediamo alla nobiltà della parola data. Perciò, fiduciosi, attendiamo che l’incubo finisca e si possa ritornare un giorno a passeggiare nelle nostre campagne.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: