giovedì 3 marzo 2016
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Strumento importante e necessario che va riequilibrato La sigla era certamente astrusa, ma ormai quasi tutte le famiglie italiane sanno bene che cosa sia l’Isee – ovvero l’«Indicatore di situazione economica equivalente». È uno strumento che dovrebbe misurare la ricchezza del proprio nucleo familiare, per l’uso di servizi pubblici di varia natura. In ultima analisi, serve per fare le graduatorie, per mettere in fila i richiedenti secondo un ordine più giusto e più equo, per far sì che acceda ai servizi davvero chi ha più bisogno e più diritto, e non chi ha più parenti o amici nella pubblica amministrazione. Nel 2013 il Parlamento ha approvato una riforma di questo strumento, dopo anni di discussioni appassionate e complesse.
 
 
Alla fine si è comunque deciso, con rara continuità tra Governo Monti e Governo Letta. Il nuovo Isee è stato così applicato, da quest’anno in modo pressoché integrale – e questa è una cosa buona, nel Paese dei ricorrenti annunci che raramente diventano azione concreta. Tuttavia molte criticità sono rimaste, e in particolare per le famiglie con disabili al proprio interno il nuovo Isee si è dimostrato disastroso, al punto che molte associazioni di tutela disabili hanno fatto ricorso al Tar, contestandone la costituzionalità e l’appropriatezza. Infatti, il nuovo Isee – questo era l’oggetto di scontro – inserisce nella ricchezza globale anche gli assegni socio-assistenziali per la disabilità (l’assegno di invalidità in primis), inserendo poi delle complicate “franchigie” a compensazione.
 
 
Il discorso era: “Sono soldi che comunque entrano nella famiglia, che quindi è più ricca di chi questi soldi non li riceve”. Peccato che come conseguenza, in concreto, quando si fa una graduatoria, va a finire che la famiglia con un disabile finisce molto più indietro di una famiglia senza disabili, perché è “più ricca”, in quanto riceve un assegno. E spesso finire più indietro significa “restare fuori” dai servizi o dalle fasce tariffarie agevolate. Il Tar, infatti, aveva dato ragione alle associazioni. Ma il Governo (questa volta il Governo Renzi) ha deciso di ricorrere, al Consiglio di Stato, stavolta “contro” il parere dello stesso Tar. Ma ora il Consiglio di Stato, a fine febbraio, dando parere favorevole al ricorso delle associazioni (e alla sentenza del Tar), ribadisce invece in modo chiaro, deciso e convincente che non è possibile considerare gli assegni di invalidità come ricchezza da misurare, perché «tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo e a ristabilire una parità morale e competitiva». In altre parole, gli interventi economici erogati in caso di disabilità servono solo a “colmare uno svantaggio”, hanno l’obiettivo di garantire “pari opportunità” a persone e famiglie che sono oggettivamente svantaggiate, perché la disabilità genera un “handicap”, una disuguaglianza di opportunità rispetto alle persone e alle famiglie che non devono affrontarla.
 
 
Dobbiamo essere orgogliosi di vivere in un Paese che vuole offrire pari opportunità a tutti, un Paese che scrive, all’art. 3 della Costituzione, che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Ma all’orgoglio deve seguire anche la coerenza amministrativa e regolativa.
 
 
E il Consiglio di Stato dice con chiarezza che questo il nuovo Isee non l’ha fatto. E questo è il problema per i tecnici e i politici che lo hanno approvato, compreso il Governo attuale. Che ha commesso un grave errore quando ha deciso, volontariamente, di fare ricorso al Consiglio di Stato, venendo sonoramente sconfitto. Il Consiglio di Stato ha quindi restituito un po’ di equità e di solidarietà ad uno strumento che è importante e necessario (se Governo e Parlamento interverranno). Ma proprio per questo occorre che la voce dei cittadini venga ascoltata con più fiducia e con più continuità. In effetti esiste una commissione ministeriale di monitoraggio dell’Isee, dove sono presenti anche rappresentanti dell’associazionismo familiare. Speriamo che questa commissione possa (e sappia) monitorare adeguatamente il reale impatto dell’Isee, senza dover costringere i cittadini a ricorre al Consiglio di Stato per farsi riconoscere i propri diritti costituzionali.
  *Direttore Cisf Centro Internazionale Studi Famiglia
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