Questo tempo e il caso Gambia
domenica 22 gennaio 2017

Se ne è detta convinta persino Theresa May che, a parere di molti, sarà la "testa di ponte" in Europa (anzi appena fuori di essa) per Donald J. Trump. Il presidente americano – ha affermato in un’intervista la premier britannica – dovrà «riconoscere l’importanza della Nato». Eppure, venerdì, nel discorso inaugurale, il presidente americano è stato piuttosto chiaro, lasciando poco spazio alle illusioni: basta – ha scandito davanti al mondo – «dissipare la nostra ricchezza» per «finanziare gli eserciti di altri Paesi e difendere i confini di altre nazioni, ma non i nostri». Esplicito nel ribadire una svolta "isolazionista" anche verso gli alleati storici, che tanti analisti avevano già messo nel conto dal momento in cui il tycoon si dimostrò in grado di competere alla pari prima con i candidati repubblicani prima e poi con Hillary Clinton, con una netta propensione a distanziare la sua linea in politica estera da quella altrui.

Un "muro" (tanto per restare sui temi cari al magnate del mattone che del tema ha una certa esperienza) innalzato tra l’America e il resto del mondo per ostacolare la libera circolazione delle persone e per dare corpo a un protezionismo del XXI secolo in campo economico. Ma le conseguenze potrebbero arrivare su scala globale anche rispetto al ruolo americano nei tentativi di soluzione delle crisi internazionali.

L’epilogo della guerra siriana con i negoziati che si vanno ad aprire ad Astana è il primo grande riequilibrio regionale in cui gli Usa hanno sostanzialmente un ruolo da spettatori. Ed è ora da capire se davvero Trump (e l’Amministrazione nel suo complesso: non va dimenticato il peso dell’apparato e dei vertici militari) si accontenterà di essere solo un osservatore più o meno distratto. Soprattutto, se si mette nel conto pure la scarsa considerazione che il presidente Usa ha già ruvidamente espresso nei confronti delle Nazioni Unite, «un consesso dove si fanno solo chiacchiere».

In questo quadro politico-strategico planetario in evoluzione, non è certo centrale ma comunque significativo e meritevole di attenzione quello che sta avvenendo nel remoto Gambia. Nella Repubblica islamica africana, un presidente legittimamente eletto, Adama Barrow, ha dovuto giurare in esilio perché il suo predecessore al potere da ben 23 anni, Yahya Jammeh, non accettava la sconfitta. La storia sembrava infatti dalla parte di quest’ultimo: "illustri" colleghi dinosauri l’hanno sempre fatta franca nelle loro violazioni delle regole democratiche, a partire dal 92enne Robert Mugabe nello Zimbabwe, solo per citare il più resistente degli autocrati del continente.

Di solito, tutto ciò accade nel disinteresse locale e mondiale. Ma questa volta l’Africa si è ribellata. L’organismo che riunisce i Paesi della costa occidentale (l’Ecowas), su impulso del Senegal, ha inviato truppe al confine, posto un ultimatum al dittatore e imposto così la resa, ottenendo una transizione alla fine pacifica. Tutto ciò con l’appoggio del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che in tempi insolitamente rapidi ha avallato l’utilizzo di 'ogni mezzo' lecito per agire a favore della popolazione e della democrazia. Una procedura doverosa, eppure perennemente inapplicata, in tempi passati, rispetto a decine di altre simili realtà del continente. Una soluzione senza spargimento di sangue, quando già 45mila civili erano fuggiti oltreconfine temendo quell’esplosione di vendette e violenze che quasi sempre accompagnano golpe o difese armate del potere. Una piccola lezione. O, almeno, un segnale, se qualcuno vuole raccoglierlo.

Ed ecco che in un’era che potrebbe tornare multipolare per il disimpegno americano, soluzioni regionali con la supervisione delle Nazioni Unite si candidano a essere una via nuova e percorribile. A patto però che quando le cose non vanno lisce come in Gambia vi sia qualcuno pronto a sporcarsi le mani per scongiurare stragi e genocidi. Se il prezzo dell’isolazionismo trumpiano includerà l’indifferenza alle crisi umanitarie di un’Onu ancor più parolaia e inefficace e di una Nato svuotata, qualcuno arriverà presto a rimpiangere il vecchio 'poliziotto globale', spesso impulsivo e interessato, ma comunque capace di farsi ascoltare. Trump può fare e disfare molto, ma non è il solo leader sulla faccia della Terra. Stavolta il promemoria viene dall’Africa.

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