lunedì 18 novembre 2013
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Caro direttore,
mi hanno molto colpito gli articoli di Avvenire di sabato 9 novembre sull’infinita odissea dei migranti scampati al naufragio del 3 ottobre. Obiettivamente è da diversi anni che il nostro giornale racconta delle infinite odissee di tanti sfortunati che, in cerca di una vita migliore, migrano verso i nostri, nonostante tutto, ancora opulenti Paesi e non di rado succeda la tragedia e tutto finisca, passato il clamore, nel dimenticatoio dei più. E poi chi assicura che simili tragedie avvengano sempre e solo in prossimità delle coste e non magari in alto mare quando nessuno ha visto o sentito nulla, quale conferma e prova dava già anni fa il nostro giornale narrando di pescherecci che, al largo, traevano non di rado nelle loro reti, con i pesci, anche resti umani quali braccia, gambe e addirittura teste? Stando così le cose chi può dire quanti altri naufragi possono essersi consumati in questi ultimi decenni, fatta eccezione di pochi giornali come il nostro, nella più totale ignavia e silenzio dei mass media? A mio avviso urge un sussulto di coscienza generale, di tutti non solo dei soliti politici ma anche dei comuni cittadini, affinché simili tragedie non avvengano mai più in quanto vere e proprie emergenze planetarie.
Clemente Carbonini, Tirano (So)
Proprio per questo, cioè per tutte le tragedie – viste e non viste, raccontate e ignorate – che lei richiama, caro signor Carbonini, non ci si può stancare di chiedere e motivare la necessità di creare sulla sponda africana del Mediterraneo una rete di centri della Ue e dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati. Penso a una rete di campi e di "sportelli" che contribuisca in modo decisivo perché preventivo a stroncare il traffico di esseri umani nei deserti d’Africa e attraverso il Mediterraneo e ad avviare in modo sicuro verso l’Europa tutte le persone che hanno diritto, secondo le leggi e i trattati che ci siamo dati, a essere accolte nonché a vagliare e accompagnare civilmente ogni altra richiesta d’ingresso con motivazioni d’altro tipo. Sono comunque d’accordo con la sua conclusione, caro amico: soltanto una generale consapevolezza della gravità e disumanità di quanto sinora è accaduto – che noi occidentali abbiamo lasciato accadere – ci consentirà di porre fine a una catena di tragedie che pesa e peserà sulla coscienza della nostra generazione. 
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