sabato 7 febbraio 2015
​​​​L'Europa prepara la riforma che manda in pensione il meccanismo ideato nel 1984. Allevatori italiani in allarme: "il nostro prodotto viene sottopagato senza nessun beneficio per i consumatori". Ecco cosa rischiano le 37mila stalle del nostro paese.
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Ormai ci siamo: fra poche settimane, il primo di aprile, il mercato del latte in Europa tornerà libero. È un passaggio storico, importante per migliaia di aziende e anche per le nostre tasche, oltre che per la qualità della nostra alimentazione. Dopo trent’anni termina il regime delle 'quote latte', che ha trasformato la fisionomia del settore, pur se i problemi restano quelli di un tempo. Per questo, oltre che per ribadire l’altissima qualità delle nostre produzioni e la necessità di difenderle, ieri Coldiretti ha organizzato quella che è stata definita «la più grande operazione di mungitura pubblica mai realizzata in Italia e nel mondo»: stalle complete poste nelle più importanti città italiane, governate per un giorno non solo dagli allevatori di professione, ma anche da personaggi pubblici e gente comune per far capire a tutti il rischio che si sta correndo: la produzione di latte italiano, già alle prese con un calo di domanda e prezzi inferiori ai costi, potrebbe essere quasi cancellata.  Per capire meglio, occorre risalire proprio a trent’anni fa. Il meccanismo delle quote latte è stato costruito nel 1984 sul modello di quello dello zucchero. Produzioni eccessive, migliaia di tonnellate di burro che si accumulano nei depositi europei, gli insostenibili costi che l’Europa deve pagare, conducono gli Stati a fissare dei tetti produttivi: se questi vengono oltrepassati, scattano pesanti multe a carico degli allevatori 'colpevoli' di aver prodotto di più. Per l’Italia la quantità massima che si può produrre è pari a 8.823 migliaia di tonnellate. Troppo poco, e lo si capisce subito. L’errore di valutazione negli anni costerà caro al nostro Paese e scatenerà una reazione a catena (anche se successivamente il limite produttivo verrà elevato). Migliaia di stalle non riescono a produrre entro le rispettive quote e in fasi successive scattano le multe che arriveranno ad oltre quattro miliardi di euro. È l’epoca delle 'guerre del latte', con il prodotto rovesciato in strada e ripetuti blocchi della viabilità che culmineranno con la chiusura per diversi giorni del viale che a Milano porta all’Aeroporto di Linate. È anche il periodo in cui il latte si colora politicamente, con i Cobas che spingono a non rispettare gli impegni presi con l’Europa alzando il costo delle sanzioni. Intanto le stalle chiudono. Nel 1988-1989 i produttori sono 181.771, all’inizio del Duemila scendono a 67.600 circa, nel 2011-2012 diventano 36.900. Un’ecatombe d’imprese che, tuttavia, porta a una razionalizzazione del settore, oltre che all’avvio di un lungo cammino verso controlli più severi, una qualità più alta, una più forte valorizzazione delle nostre produzioni. Poi, l’Europa si accorge che il regime delle quote è ormai diventato anacronistico. Da qui, il percorso verso il suo smantellamento che è fissato, come detto, il primo aprile prossimo.  l mercato del latte, però, nel frattempo è profondamente cambiato. Ancora nel 2014 in Italia il consumo è ulteriormente diminuito. Senza contare che i rapporti all’interno della filiera di produzione, trasformazione e commercializzazione del prodotto si sono fatti sempre più tesi. Gli allevatori dicono che un euro speso in prodotti lattiero caseari viene ripartito in circa 17 centesimi agli allevatori, 37 agli industriali e 46 alle fasi successive di distribuzione. Il risultato è in quanto spiegato chiaramente dalla Coldiretti, presieduta da Roberto Moncalvo. «Dall’inizio della crisi è stata chiusa una stalla italiana su cinque con la perdita silenziosa di 32mila posti di lavoro». Per questo ieri sono stati chiamati a raccolta i più bei nomi della cultura, dello spettacolo e della politica nostrani. Tutti a difendere – almeno per un giorno – una specie di patrimonio nazionale, al pari della dieta mediterranea e del David di Michelangelo. Tutti a dire che questo patrimonio rischia grosso. Gli allevatori parlano di un «furto di valore», perché il loro prodotto viene sottopagato senza alcun beneficio per i consumatori. Poi c’è anche la concorrenza sleale che «importa latte da chissà dove e lo spaccia come nazionale». Qualche numero? In Italia nello scorso anno dalle stalle nazionali sono stati immessi nel mercato interno circa 110 milioni di quintali di latte, mentre circa 86 milioni sono arrivati dall’estero. Con un effetto che i tecnici dicono dirompente. Per capire cosa questo comporti si tenga presente che per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati agricoli. Tesi che, ovviamente, non vanno a genio agli industriali della trasformazione, che si appellano alla libera concorrenza. E la situazione potrebbe adesso precipitare. Il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre nemmeno i costi di produzione: stando sempre ai coltivatori, il latte alla stalla viene pagato in media 35-36 centesimi al litro (-20% rispetto al 2014), ma al consumo costa anche 1,5 euro al litro (qualche centesimo in più dallo scorso anno). «In altre parole – è l’esempio circolato ieri nelle piazze italiane – gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle oppure per una bottiglietta di acqua e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette». Oggi, è stato spiegato, chiudono quattro stalle al giorno, domani, con l’arrivo del mercato libero e le vicende internazionali, tutto potrebbe peggiorare complice, ad esempio, l’embargo deciso dalla Russia ai prodotti agroalimentari europei che oltre a penalizzare direttamente le esportazioni dei formaggi tipici italiani sta facendo arrivare in Italia il latte che gli altri Paesi prima esportavano verso Est.  La liberalizzazione del mercato potrebbe fare il resto. Già adesso, spiegano i produttori, «tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero», mentre «dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate polveri di caseina». Intanto, proprio i più bei nomi della produzione lattiera nazionale passano in mano straniera. È proprio di ieri la notizia che il gruppo francese Lactalis ha acquisito il Consorzio Cooperativo Latterie Friulane. Ma a questo punto che fare? Coldiretti ieri ha proposto una ricetta in più punti. Prima di tutto parlare chiaro ai consumatori e quindi indicare obbligatoriamente l’origine nelle etichette del latte (anche Uht), dei formaggi e di tutti gli altri prodotti a base di latte. Poi garantire che venga chiamato 'formaggio' solo ciò che deriva per davvero dal latte e non da prodotti diversi. Gli allevatori, inoltre, chiedono che la legge sulla concorrenza sleale venga applicata sul serio, che i numeri reali delle importazioni siano pubblici, che vi sia davvero una 'tracciatura' delle materie prime, che l’Autorità Garante della Concorrenza intervenga prontamente anche nel mercato lattiero, che i soldi destinati agli allevatori arrivino davvero nelle stalle; ma anche che vi sia un piano organico di promozione (in Italia e all’estero) del latte e delle produzioni italiane a partire da Expo 2015 così come una serie di azioni per spingere verso l’alto il consumo. Gli stessi allevatori chiedono poi 'garanzie' sulle risorse previste dal 'Piano latte' del Governo. Una richiesta che Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole, pare aver accolto. L’11 febbraio, infatti, è convocato un 'tavolo di filiera', mentre lo stesso ministro ha affermato che chi produce latte in Italia deve avere remunerati i costi di produzione. Martina ha poi auspicato che l’industria faccia lo sforzo per riconoscere che in Italia i costi di produzione sono più alti. Al Ministero stanno studiando un piano per rafforzare i rapporti nella filiera, coordinare la promozione e spingere le esportazioni. Occorre fare in fretta. Quello del latte è un comparto che riesce ancora oggi a generare una filiera che vale 28 miliardi di euro con quasi 180mila occupati complessivi. 
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