domenica 19 giugno 2011
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Scrivendo su "Il voto e i valori cattolici", Franco Garelli si pone il problema del mancato protagonismo politico del laicato cattolico, che sembra marcare gli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, di contro a un impegno in prima persona del «gruppo dirigente della Chiesa» sulla scena pubblica, a difesa e promozione dei «valori non negoziabili» (Il Messaggero, 3 giugno 2011).È da chiedersi se questo fenomeno non sia la inevitabile o, quantomeno, comprensibile conseguenza del primo. Ha comunque ragione Garelli nel denunciare il fatto che il cattolicesimo politico italiano stenta a trovare, rispetto al passato, un protagonismo nella vita pubblica; che ormai i cattolici in politica appaiono relegati spesso a un ruolo comprimario e di supporto. Credo che le ragioni del fenomeno siano molteplici: non ultima pure quella per cui, nonostante tutto, anche il mondo cattolico, che vive nel tempo e respira l’aria del tempo, non può non essere toccato, seppure marginalmente, da quel rifuggire l’impegno politico – atteggiamento tipico degli italiani, oggi –, che parte è effetto di delusione, parte segno di individualismo.Ma tra le ragioni, due mi sembrano da segnalare. La prima – segnalata da anni e con crescente allarme da Avvenire – è data dal fatto che, grazie alle balorde leggi elettorali che ci siamo dati, in sostanza si entra in politica e, quindi, nelle istituzioni politiche, per grazia del "principe", cioè il leader del momento, a destra così come a sinistra. La fine del sistema dei partiti ha, nonostante quanto si potesse pensare, accentuato fortemente la cooptazione, lasciando fuori da processi formativi e integrativi chi non è desiderato o chiamato. Non a caso, come annota ora Garelli, nelle ultime amministrative la «danza primaria è stata condotta da gruppi e persone di ispirazione diversa» rispetto ai cattolici motivati. Certo mondo politico laico ha, del resto, poca propensione ad aprire le porte all’apporto di uomini e donne cattolici, portatori di valori chiari e forti.La seconda è prodotta dal "terribile isolamento" – e lo dico con vibrazioni autobiografiche – assai spesso avvertito dai cattolici che, provenendo dalla società civile, si sono impegnati in politica, spinti dall’esempio dei grandi che ci hanno preceduto, dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II sull’animazione del temporale, da una particolare sensibilità ai «doveri inderogabili» di solidarietà, di cui parla il secondo articolo della nostra Costituzione. Un "terribile isolamento" per la percezione di essere stati invitati all’impegno politico solo al fine strumentale di catturare il voto cattolico. Un "terribile isolamento" anche perché i politici di professione diffidano e tendono ad emarginare chi viene dalla società civile, con l’idea di prestarsi al bene comune per qualche tempo e, poi, tornare alla propria attività professionale. E la percezione dell’isolamento scoraggia il proseguimento di una esperienza politica.Ma qualche ragione viene anche da casa nostra. I cattolici in politica del passato, dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana, venivano in buona sostanza dall’Azione Cattolica, cioè dall’associazione pressocché unitaria, avente finalità religiose e spirituali, ma anche formative alla "azione" cattolica nella società, sul duplice versante del sociale e del politico. Il fenomeno, ormai lontano nel tempo, del distaccarsi di quella grande realtà dal "politico" e del moltiplicarsi, accanto all’Azione Cattolica, di forme aggregative nuove, se ha portato una grande varietà e ricchezza, ha però mutato oggettivamente il quadro. Queste nuove aggregazioni sociali, ricche di grande vitalità e cariche di meriti, sono peraltro impegnate – sia pure con le dovute eccezioni – soprattutto sul terreno strettamente religioso o su quello sociale del volontariato. La formazione politica, in genere, è disertata. Ecco perché i vescovi italiani incoraggiano un rinnovato, serio e profondo lavoro proprio su questo versante.La consapevolezza della sfida che si propone nel tempo presente è, dunque, emersa. Serve di saper rispondere con una preparazione e un’azione adeguate, se non si vuole che la chiamata a «una nuova generazione di cattolici» impegnati nella sfera pubblica non rimanga, alla fine, un grido nel deserto.
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