venerdì 30 maggio 2014
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​Gentile direttore,
ho pensato di scriverle per sottoporre all’attenzione di “Avvenire” una battaglia che mi sta molto a cuore, una battaglia che mi porterà in Tribunale a Milano il prossimo 10 giugno, insieme ad oltre 100 famiglie, per ricorrere contro lo Stato Italiano. La causa intende porre rimedio ad un grave vuoto legislativo. Mi riferisco al silenzio che il nostro sistema di diritto riserva alla figura del care giver: colui che si prende cura, 24 ore su 24, 365 giorni su 365, di un proprio caro non autosufficiente. L’Italia è l’unico Paese europeo che non gli riconosce alcun diritto. Tale figura non ha diritti, semplicemente perché, per la legge italiana, il care giver nemmeno esiste.
 
Lo Stato Italiano per una persona non autosufficiente ricoverata in una Residenza sanitaria assistenziale arriva a spendere cifre assurde: fino a 90.000 euro l’anno. Alle famiglie (che si fanno carico di tale spesa) non viene riconosciuto nulla. Raffaele Pennacchio, medico malato di Sla, è morto protestando per questo. Non chiedeva risorse ulteriori per i malati di Sla, anzi; chiedeva che fosse data la possibilità a tutte le famiglie italiane di prendersi cura dei propri cari in casa propria, con un risparmio netto per tutti. La risposta delle nostre istituzioni davanti alla sua morte? Poche parole di circostanza, mormorate nell’indifferenza generale.
 
La Lombardia, regione dove vivo, è in verità la prima Regione che, con la delibera 740 del settembre 2013, tenta di attuare, garantendo un contributo mensile alle famiglie con una persona affetta da grave disabilità, la famosa legge n.162/98, legge nata quasi 20 anni fa e fino ad oggi mai applicata. È un passo avanti importante, quasi una rivoluzione; ma... è ancora troppo poco: ancora non si sa quante domande saranno accolte e quante rifiutate, né per quanto tempo basteranno i fondi stanziati. La Corte Europea si è espressa, in proposito, già il 17 luglio 2008, invocando, con parole che non lasciano dubbi, «la protezione contro la discriminazione, anche a favore di chi si prende cura del famigliare». Bene, questa norma, entrata fin troppo tardi in Europa, in Italia è del tutto ignorata. Il nostro è, infatti, l’unico Paese europeo che non ha alcuna legge a tutela dei diritti umani dei familiari che prestano lavoro di cura ai propri cari con disabilità. Ben più avanti di noi sono ormai anche la Grecia e la Romania (segnalo questo proposito: www.lacurainvisibile.blogspot.it). Le scrivo, gentile direttore, per chiederle di aiutarmi a far conoscere le motivazioni e l’esito di questa causa. Sarebbe già una vittoria se il 10 giugno l’aula del tribunale di Milano fosse affollata: affollata di giovani e anziani, uomini e donne, gente provata dalla sofferenza o mai toccata da questi problemi... gente felice, comunque, di poter lottare per un mondo più umano.
 
Ecco una delle tante lettere sulla questione che si possono facilmente trovare su internet. «Mi chiamo Giuseppe, sono affetto da tetraparesi spastica con distonia, vivo con la mia famiglia, la mia compagna convivente e mia figlia di sei anni. A nostro carico (anzi a mio carico) ho una badante che mi aiuta a gestire le mie necessità primarie. Infatti le mie condizioni fisiche comportano uno svantaggio tale che non mi è consentito di svolgere autonomamente nessuna delle funzioni essenziali della vita. Fortunatamente la legge 162/98, nata con l’obiettivo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave, così come previsto dalla Costituzione italiana (articoli 2 e 3) e dalla Convenzione Onu delle persone con disabilità (art.3 e 19), mi ha consentito finora di far svolgere a persone di mia fiducia tutte le prestazioni necessarie a vivere con dignità, dietro presentazione di un cosiddetto progetto individuale in cui dovevo rendere conto di tutte le spese previste per tali finalità nell’anno successivo alla presentazione del progetto. Quest’anno, tuttavia, al momento di presentare il mio progetto individuale al piano di zona di cui fa parte il comune di Casatenovo (in provincia di Lecco) in cui sono residente, mi è stato comunicato che nel 2012 tali progetti non saranno più finanziati (allego la risposta ricevuta dal Comune). Nonostante già negli anni passati mi fossi trovato a ricevere somme del tutto insufficienti per portare avanti il mio progetto individuale, ho deciso ugualmente di presentare domanda anche per il 2012, perché altrimenti, rinunciandovi, avrei, di fatto, condannato a morte me stesso. Non essendo propenso all’eutanasia ho pensato allora che, se proprio qualcuno doveva condannarmi a morte, doveva essere chi mi negava i finanziamenti. Certo qualcuno potrebbe sostenere che per gente come me ci sono degli appositi centri di accoglienza. Ho già vissuto in passato in questi istituti, e non ho nessuna intenzione di tornare a rivivere una simile esperienza, perché stare in quei luoghi significa essere sotto qualcuno, chiedere permesso per uscire, aspettare il proprio turno per andare in bagno e, soprattutto, non avere la libertà di decidere della propria vita, perché c’è sempre qualcuno che sceglie al tuo posto. Quello che è peggio è che in simili condizioni non si può neppure maturare a livello umano, e se sono stato in grado di costruirmi una famiglia è perché ho avuto modo di crearmi un lungo percorso di crescita al di fuori di questi istituti. Piuttosto che tornare a fare questa vita o essere un domani di peso per mia figlia preferisco buttarmi in un burrone con la mia carrozzina, e farla finita. Al di là di tutti i ragionamenti riguardanti la dignità umana vi ricordo, tra l’altro, che secondo alcuni studi il ricovero di un disabile costa circa 285 euro al giorno. Il mio progetto di vita indipendente di euro al giorno ne costa circa 65. A rifinanziare questa legge è dunque lo Stato che guadagna. Per questi motivi vi chiedo di ripristinare i finanziamenti alla legge 162/98».
Ciascuno di noi rischia di leggere queste stesse parole firmate da un proprio figlio o da un proprio genitore...
Anna de Castiglione, Milano

 

Una doppia lettera la sua, cara e gentile signora de Castiglione. Che prende più spazio del previsto e, però, lo merita tutto. Riduco perciò al minimo la mia riposta, che è di piena e convinta adesione alla «battaglia» di cui lei si fa portavoce. Non amo le soluzioni per via giudiziaria, ma trovo sensato mettere civilmente alle strette lo Stato quando svuota e, dunque, non rispetta le sue stesse leggi e i cittadini – le concrete persone – che quelle leggi debbono servire. Mi auguro che di fronte a voi – e in definitiva, come lei dice, a noi tutti – non ci siano Istituzioni che “resistono” in tribunale alla vostra iniziativa, ma Istituzioni che “desistono” dal non applicare norme intelligenti e utili come quelle della legge 162/98. Regole tese a umanizzare la cura delle persone non autosufficienti e capaci, al tempo stesso, di renderla anche meno onerosa. Credo che anche questo capitolo possa far parte, alla fine a costo zero, e anzi con qualche significativo vantaggio per le casse statali, del libro della «svoltabuona» che Matteo Renzi si propone di scrivere.

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