Perché l'«humilitas» è grande virtù ma l'«umiliazione» non va inflitta
sabato 26 novembre 2022

Maria Pia Baccari, giurista e latinista raffinata, va alla radice del concetto evocato dal ministro Valditara. Che poi, però, ha mostrato umiltà. In modo istruttivo

Caro direttore,

la terminologia, diceva un grande studioso del secolo scorso, è «mezzo sicuro e prezioso». Purtroppo, la manipolazione terminologica pervade le nostre società da decenni. A mio avviso ne è un esempio la polemica di queste ore su umiltà, umiliazione e altri derivati. Dovrebbe essere noto, e non solo agli addetti ai lavori, che Humilitas è un termine prezioso che attraversa i secoli, la cultura pagana, la storia, il diritto, le religioni, le opere dei Padri della Chiesa, l’arte: potremmo dire da Livio a papa Francesco. L’humilitas è una virtù. Su qualsiasi vocabolario scolastico leggiamo sotto la voce umiltà che si tratta di una virtù, «per la quale l’uomo riconosce i propri limiti, rifuggendo da ogni forma d’orgoglio, di superbia, di emulazione o sopraffazione». E mi sembra che sia proprio questo il concetto cui ha recentemente fatto allusione il professor Valditara. Nella sua veste di ministro dell’Istruzione e del Merito, di fronte a un gravissimo episodio di uno studente che ha aggredito una professoressa – e purtroppo si moltiplicano nella scuola i casi di violenza e bullismo – ha ritenuto di proporre una modalità che aiuti i giovani a misurarsi con sé stessi e a riflettere pacatamente, in una società che obnubila le menti e addormenta le coscienze. Il ministro Valditara, con il bagaglio importante di esperienze proprie della sua formazione, ha proposto che i giovani violenti, anziché essere sospesi e stare a casa più giorni, facciano in alternativa «lavori socialmente utili». Humilitas è termine assai caro anche al linguaggio cristiano. Numerosissimi sono gli esempi, per tutti basti citare san Paolo, cittadino romano, nella Lettera ai Filippesi 2,5-11, a proposito di Cristo: «Umiliò (humiliavit) sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce». Papa Francesco, in una delle bellissime omelie durante la pandemia, da Santa Marta, ha fatto un nesso tra umiltà e umiliazione, affermando che non si può essere umili senza umiliazione. L’etimologia riporta all’humus, alla terra. L’umiltà è la prerogativa dell’umile e dovrebbe aiutare a frenare ogni impulso all’ambizione e all’egocentrismo. Anche nell’arte troviamo questo insegnamento, ad esempio, nel quadro di Caravaggio, con l’uccisione di Golia ad opera di Davide: sulla lama che il giovane stringe in pugno si leggono le lettere «H-AS OS», sigla che riassume il motto agostiniano «Humilitas occidit superbiam» (l’umiltà uccise la superbia). San Carlo Borromeo durante la peste del 1576 assisteva i malati, dedicandosi con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: Humilitas. Non possiamo non ricordare, poi, l’esempio e l’insegnamento di santa Madre Teresa di Calcutta, tanto amata da popoli e regine, sulla necessità di tenere in grande importanza l’umiltà.

Si tratta, dunque, di un concetto che può essere strumento della società per contrastare la violenza ed educare i giovani al rispetto dell’altro.

Maria Pia Baccari, giurista, Università Lumsa


Gentile e cara professoressa Baccari, lei sa quanto stimi le sue riflessioni e argomentazioni. Anche stavolta le trovo profonde e utili. L’humilitas è sorella della fraternitas ed è virtù vera e concetto prezioso soprattutto in questi tempi di persino vertiginosi individualismi e di ritornanti e orgogliosi nazionalismi. Lei sottolinea che la cultura del professor Valditara, oggi ministro dell’Istruzione (e del Merito), è tale da garantire della buonissima intenzione e persino intonazione dello stesso anche nella frase che ha scandito qualche giorno fa – e che è divenuta di pubblico dominio nella mattinata di giovedì scorso – sull’utilità della salutare «umiliazione» dello studente che sbaglia. Le assicuro di non dubitare assolutamente della cultura del ministro Valditara, ma le confermo che mi sto interrogando sulla sua visione della scuola. Posso anche dirle di essere stato colpito dall’humilitas che il ministro ha saputo dimostrare giovedì sera, definendo egli stesso «inadeguato» il termine «umiliazione » usato qualche giorno prima. Per questo con Eraldo Affinati, insegnante e scrittore di grande forza e sensibilità, abbiamo deciso di registrare con rilievo la dichiarazione nell’editoriale che abbiamo dedicato alla questione. L’umiltà si insegna con la testimonianza, non si impone. E l’umiliazione cristiana di sé – quella secondo papa Francesco e secondo san Francesco d’Assisi – si vive anche nell’esercizio del proprio potere e dovere, non s’infligge ad altri. Anche per questo motivo ho trovato il gesto di Valditara istruttivo e (ri)costruttivo dopo la bomba semantica e concettuale che aveva continuato a esplodere nelle ore precedenti. Non è frequente che questo accada tra i politici e neanche tra gli accademici (e i giornalisti), dunque merita di essere sottolineato.

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