mercoledì 2 marzo 2022
La più sconvolgente tra le miserie politiche, culturali e simboliche che l’invasione russa dell’Ucraina ci mette davanti agli occhi, è lo scenario del possibile sterminio atomico
Un'immagine satellitare con grafica sovrapposta mostra i veicoli militari accanto alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina

Un'immagine satellitare con grafica sovrapposta mostra i veicoli militari accanto alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina - Reuters

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Nella sua realtà più cruda, la guerra consiste nell’uccisione di esseri umani, e la prima preoccupazione della comunità internazionale non può che essere per le vittime. Chiedere la pace significa fare ogni sforzo per mantenere aperto il dialogo, sapendo, come ha detto papa Francesco all’Angelus di domenica 27 febbraio 2022, che in un momento di crisi e di tensione, di paura e di squilibri internazionali, la pace si costruisce a cominciare dal linguaggio, che deve essere di mitezza, e da uno sguardo che non deve essere cieco. Perché se siamo ciechi, ha ammonito il Papa, «non possiamo pretendere di essere guide e maestri per gli altri: un cieco, infatti, non può guidare un altro cieco ». Dobbiamo evitare, ha continuato, di «guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello senza accorgerci della trave che c’è nel nostro», e di cercare, invece, di «guardare dentro di noi per riconoscere le nostre miserie».

La più sconvolgente tra le miserie politiche, culturali e simboliche che l’invasione russa dell’Ucraina ci mette davanti agli occhi, è lo scenario del possibile sterminio nucleare nel quale ci siamo abituati a vivere fingendo che non ci riguardi. Ma se non vogliamo brancolare nel buio, mentre ripetiamo i nostri necessari inviti alla pace e al disarmo, dobbiamo riflettere sul perché il conflitto nucleare era stato finora, sino a minacce e allarmi di questi giorni, un sottotesto rimosso delle nostre esistenze, qualcosa che sembrava riguardare realtà lontane, non diversamente da come abbiamo pensato alla pandemia, prima di essere investiti dal Covid-19. Nel 1957, nel discorso che tenne a Stoccolma per il conferimento del Nobel, Albert Camus seppe dar voce all’angoscia vissuta dalla propria generazione nell’abitare un pianeta che pareva sempre più assomigliare a una bomba innescata: «Questi uomini, nati all’inizio della prima guerra mondiale, che avevano vent’anni nel momento in cui si installavano a un tempo il potere hitleriano e i primi processi rivoluzionari, e che dovettero poi confrontarsi, per perfezionare la propria educazione, con la guerra di Spagna, la seconda guerra mondiale, l’universo concentrazionario, l’Europa della tortura e delle prigioni, devono oggi far crescere i loro figli e le loro opere in un mondo minacciato dalla distruzione nucleare».


Nove Paesi risultano possedere circa 12.700 testate nucleari. La loro forza distruttiva è capace di portare all’estinzione dell’umanità e addirittura della vita sulla Terra

Di quest’angoscia sembrava non restare traccia. Quella che, con frase fatta, chiamiamo «spirale del riarmo» ha portato, alla fine degli anni Ottanta del Novecento, allo schieramento di 70.300 ordigni atomici nel mondo. Il numero di armi nucleari è poi drasticamente diminuito, ma le tecnologie so- no diventate più sofisticate e micidiali. All’inizio di quest’anno, secondo il 'Rapporto sullo stato delle Forze nucleari nel mondo' della Federazione degli scienziati americani, nove Paesi risultavano possedere circa 12.700 testate nucleari. Il 90% di tutte le testate nucleari è in mano, quasi in pari misura, a Usa e Russia. Di tutte le testate nucleari del mondo, più di 9.440 si trovano nelle scorte militari per essere utilizzate da missili, aerei, navi e sottomarini; quelle rimanenti sono in attesa di essere smantellate (ma ancora relativamente intatte). Delle testate presenti negli arsenali, circa 3.730 sono schierate con le forze operative, su missili o in basi di bombardieri. Circa 2.000 sono statunitensi, russe, britanniche e francesi e ora sono in massima allerta. La forza distruttiva di questi ordigni, pari a diverse centinaia di migliaia di bombe di Hiroshima, è capace di portare all’estinzione dell’umanità e addirittura della vita sulla Terra.

La guerra nucleare non è un’iperbole, è una possibilità. Nel suo brutale esercizio di pressione psicologica e propaganda, l’8 febbraio il presidente russo ha evocato una «guerra senza vincitori» tra potenze nucleari, per poi lanciare a scopo dimostrativo, il 19 febbraio, tre missili intercontinentali in grado di trasportare cariche nucleari, ribadendo che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato accenderebbe un conflitto Russia-Nato passibile di diventare nucleare. Infine, il 27 febbraio, a ostilità iniziate, ha ordinato la messa in stato di allerta del sistema di deterrenza nucleare. Benché il Sipri, l’Istituto per la Ricerca sulla pace con sede a Stoccolma, si dica convinto che la leadership russa non abbia alcuna intenzione di usare l’arma nucleare nella cri- si ucraina, l’utilizzo simbolico della minaccia atomica è indicativo di una possibilità, ovvero di un potere di distruzione che entrambe le parti sanno essere reciproco. Usiamo il linguaggio della deterrenza e della minaccia fingendo di essere in pace, scandalizzandoci della minaccia di riversare sui popoli e sul pianeta la spaventosa quantità di energia atomica stoccata nel cuore dell’Occidente tra America del Nord ed Europa: in Usa, Russia, Francia, Regno Unito, Israele, senza contare l’Italia che, pur non possedendo armi atomiche, alloggia quelle americane nelle basi Nato di Ghedi e di Aviano.


Si può distinguere tra aggrediti e aggressori, tra vittime e criminali, senza usare linguaggi che chiudono la possibilità di comprensione La centrale nucleare di Chernobyl

La Nato, un’«organizzazione difensiva » di cooperazione militare nata nel 1949 per opporsi all’allora Unione Sovietica, non solo ha continuato a esistere dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, nel 1991, ma, nonostante il patto stretto tra Gorbaciov e Bush, è passata dai 12 membri dell’89 ai 30 attuali, accogliendo anche nazioni già appartenenti all’Urss. A creare ulteriore tensione, nel 2019 è venuto il ritiro dell’America di Donald Trump dal trattato Inf sul- le forze nucleari intermedie, i missili capaci di percorrere tra 500 e 5.500 chilometri, firmato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov. Tutto questo aiuta a capire perché Mosca consideri inaccettabile l’eventualità di un ingresso dell’Ucraina nella Nato. L’attacco russo all’Ucraina è inaccettabile. Eppure si può distinguere tra aggrediti e aggressori, tra vittime e criminali, senza usare linguaggi che chiudono la possibilità di comprensione, senza fare paragoni insensati, come quello che accosta Putin a Hitler, senza disegnare un nemico mediatico assoluto, metafisico, che, come nelle favole, serve a rassicurare, tanto alla fine a vincere sarà comunque il bene. Il bene è fuori dal tavolo della guerra.

Se vogliamo provare a fare la nostra parte sulla scena del mondo senza «guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello » (e ignorare, magari, la trave nel nostro), dobbiamo affrontare la realtà – posta in bella mostra eppure invisibile, come 'La lettera rubata' sulla mensola del caminetto, nel celebre racconto di Edgar Allan Poe. Agli inizi degli anni Ottanta, una vittoriosa campagna nonviolenta ottenne la completa riconversione a uso civile della base per missili nucleari Cruise di Comiso, al cui posto ora sorge un aeroporto intitolato a Pio La Torre, uomo politico ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982, ventisei giorni dopo che una manifestazione contro i missili aveva portato a Comiso un milione di persone da tutta Italia. Ogni agenda politica deve vedere come prioritaria l’abolizione delle armi nucleari, non diversamente da quanto è stato fatto per le armi di di- struzione di massa chimiche e biologiche. Le armi nucleari, tra tutte le invenzioni umane, sono quelle che più chiaramente mostrano come il delirio di onnipotenza proprio della cultura antropocentrica si sia costituito in politiche di morte, contro le quali è necessario opporre una nuova cultura del diritto alla sopravvivenza delle comunità umane, dell’ecosistema e di tutti i viventi.

Questo include l’attuale nucleare civile. La crisi ucraina mostra l’enormità del passo compiuto con l’invasione di uno Stato che ha sul proprio territorio una centrale divenuta simbolo del disastro atomico. Il sarcofago del reattore 4 di Chernobyl è stato immediatamente 'preso in consegna' da reparti speciali russi, dopo brevi combattimenti nella cosiddetta area di esclusione di 30 km intorno all’impianto, ma in Ucraina ci sono altre 4 centrali nucleari, con 15 reattori in funzione (oltre a due in costruzione), che forniscono il 54% dell’energia elettrica del Paese. L’eventualità di combattimenti nelle loro vicinanze mostra rischi evidenti, tanto che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha affermato di seguire la situazione «con grave preoccupazione » e ha fatto appello alla «massima moderazione per evitare qualsiasi azione che possa mettere a rischio gli impianti nucleari del Paese».

Anche l’attuale nucleare civile deve finire, perché non solo non è una scorciatoia per affrontare il cambiamento climatico, ma comporta la gestione di impianti, materiali e scorie inserite come una spina nella carne di Paesi ed esistenze e in quelle delle generazioni a venire. «Una mattina sono uscito in giardino e mi sono accorto che qualcosa non andava, non si sentivano i soliti rumori, familiari. Le api erano tutte sparite», raccontò un apicoltore di Chernobyl alla scrittrice Svetlana Aleksievic. «Non si sentiva ronzare una sola ape. Com’era possibile? Cos’era accaduto? E non ne ho vista volare nessuna né l’indomani, né il giorno dopo ancora. Poi ci hanno comunicato che si era verificato un incidente nella centrale nucleare. La centrale è qui vicino, ma per molto tempo ci hanno tenuto all’oscuro. Le api lo sapevano, noi no». Il problema di chiunque voglia essere per la pace è la denuclearizzazione del mondo.

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