Per tenace umana dignità
sabato 23 gennaio 2021

Sono due, e contrapposte, le dinamiche attivate dalla pandemia che mettono in tensione il mondo odierno, così duramente ferito e lacerato: l’una esplicita, l’altra implicita; l’una aggregativa a livello sociale, l’altra, sempre a livello sociale, conflittuale. La prima dinamica è quella che insiste nell’esaltare il principio di solidarietà come l’unico capace di far fronte alla dura emergenza sanitaria che stiamo sperimentando nel mondo, perché è il solo in grado di operare per il bene di tutta la famiglia umana: si tratta di una dinamica che viene continuamente ribadita, ritematizzata, sponsorizzata, propagandata, a volte anche in forme 'pubblicitarie'; una dinamica su cui costantemente insiste papa Francesco (che spesso ne parla identificandola con la categoria della 'vicinanza') e a cui si aggiungono le esortazioni dell’Oms, delle grandi organizzazioni internazionali e in genere delle confessioni religiose più diffuse nel mondo.

La seconda dinamica sembra operare invece a bassa voce e tende a non manifestarsi esplicitamente: è quella che si guarda bene dal criticare il principio di solidarietà, ma con sottigliezza ne mostra e ne sottolinea non solo le difficoltà ma anche e soprattutto le ambiguità. Come si possono aggregare a livello planetario interessi sanitari obiettivamente divergenti? Come andrebbero ripartiti equamente gli immensi costi delle politiche antivirali, in un mondo che conosce impressionanti differenze non solo di reddito, ma anche e soprattutto di knowhow tecnologico e quindi di costosissimi vincoli e procedure brevettuali? Come decidere a quali classi della popolazione venire incontro prima che ad altre, e a quali tra esse si dovrebbero portare in prima battuta vaccini e terapie (soprattutto, come scegliere se intervenire prima a favore degli anziani o dei giovani)?

Dietro questa seconda dinamica sembra riemergere uno dei proverbi più antichi, più crudeli (e più infami!) il «mors tua vita mea», di cui si compiacciono i cinici e i realisti (due categorie che di fatto coincidono, dato che il cinico sempre sottolinea il suo realismo e il realista accetta sempre, alla fine, gli esiti cinici dei suoi ragionamenti).

Che il mondo possa unirsi nel nome di una solidarietà sanitaria globale sembra, a chi cede al fascino perverso di questa seconda prospettiva, una visione da 'anime belle', dolce e ammirevole, ma alla fin fine irreale; che il mondo possa dividersi sulle misure da adottare contro il coronavirus, dando vita a esperienze conflittuali, ipocritamente occultate, ma non perciò meno violente, sembra a molti una dinamica che già sarebbe sotto i nostri occhi, anche se cerchiamo di nascondercela. Qual è il futuro che ci aspetta? Ovviamente nessuno è in grado di dirlo: le previsioni si confondono con gli auspici e gli auspici sono tutti aperti alle più varie deformazioni ideologiche.

Se il coronavirus regredirà spontaneamente, la grande lacerazione cui abbiamo fatto cenno verrà – per dir così – 'riassorbita' e resterà latente nei nostri paradigmi mentali, fino a quando non si presenti una nuova occasione, finora imprevedibile e imprevista, che la faccia esplodere. Ma potremmo anche entrare – che Dio non voglia! – in una fase di radicamento endemico della pandemia: esperienze storiche in tal senso non mancano (basti pensare alla perdurante presenza della lebbra nell’antico Israele e oggi in diversi Paesi del Terzo mondo).

Si potrebbe allora vedere in che misura nel XXI secolo la pandemia stia davvero aiutando l’umanità a fare passi in avanti verso quella forma universale di bene, che è il bene della fraternità. Ma potremmo anche essere costretti a prendere atto che il male fisico (la pandemia) favorisce, anziché frenare, l’espansione del male sociale (l’egoismo 'sovranista'). Auguriamoci, in quest’ultimo caso, se vogliamo salvare un minimo della dignità umana, di avere energie morali sufficienti che ci consentano di resistere. E di saper vivere vedendo nell’altro un fratello prima che un avversario.

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