venerdì 18 settembre 2009
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L’educazione è uno dei debiti fondamentali che una società ha nei confronti delle nuove generazioni: un debito di speranza! Eppure oggi il termine educare è associato quasi sempre a parole che sembrano la negazione della speranza: crisi, emergenza, fallimento, dimissione.Si sente affermare con rammarico che i giovani e i ragazzi «non sono più quelli di una volta...». Certo i giovani e i ragazzi di oggi sono figli del loro tempo, e hanno caratteristiche, sensibilità e comportamenti che riflettono la società e la cultura in cui crescono e vivono. Ma non sono loro ad aver dato forma a questa società, con la quale caso mai hanno imparato a interagire. Per capire l’attuale crisi dell’educazione occorre guardare alla generazione adulta, spesso specchiata nelle immaturità e nelle inquietudini dei più giovani.Le attuali difficoltà in cui versa la pratica educativa dicono come sia in crisi nella generazione adulta un progetto di vita che mostri il senso secondo cui essa vive e al tempo stesso comunichi – anche implicitamente – se vi sono ragioni di vita convincenti. Gli adulti educatori – genitori, insegnanti, preti, catechisti... – sembrano oggi non essere in grado di mostrare il valore e la bellezza dell’esistenza, in tutti i suoi aspetti; di proporre le ragioni per cui vale la pena avere fiducia in essa; di far intravedere la sapienza che si trasforma in stili di vita coerenti.D’altra parte non si può non considerare la condizione di fatica degli adulti. L’attuale organizzazione della società, del lavoro, della famiglia, della scuola è così complessa da far sentire stanchi: stanchi di una vita di corsa, del vuoto che si sente dentro e che fa sentire aridi. A volte si rinuncia a educare per mancanza di energia nel reggere l’impegno che questo – essere disponibili, dimenticare preoccupazioni e stanchezze, essere accoglienti, saper dialogare, motivare, discutere... – comporta. Ma si rinuncia alla fatica di educare anche perché si sono escluse dalla vita alcune dimensioni inalienabili: il limite, il sacrificio, la rinuncia, parole bandite dal vocabolario di una generazione addomesticata dal consumismo e dalle sue illusioni. Segnali che rivelano come sia in crisi, ancor prima dell’educazione, la dimensione generativa della vita adulta, sempre più in difficoltà a esprimersi nel dono di sé: è uno degli spunti più interessanti di analisi che emergono dal Rapporto-Proposta del Progetto culturale Cei dedicato alla sfida educativa, appena pubblicato.Tuttavia questa crisi può essere un’opportunità: essa ci sta costringendo a riconsiderare il valore e la responsabilità dell’educazione come imprescindibile azione umana e ci sta aiutando a riscoprirne il senso. Per mettere a frutto questa situazione di passaggio, mi pare che servano soprattutto tre orientamenti: il rifiuto del catastrofismo che lascia inerti, per assumere un atteggiamento di responsabilità; una nuova disponibilità a pensare l’educazione, per reinterpretarla nei caratteri nuovi che essa deve assumere nell’attuale contesto; l’impegno a costruire alleanze per affrontare un compito cui nessuno può ritenere oggi di far fronte da solo: la scuola con la famiglia, la comunità cristiana anch’essa con la famiglia, le realtà del territorio con la scuola...Si comincerà a uscire dalla crisi attuale quando gli adulti ritroveranno parole per narrare la bellezza di educare e non solo le sue fatiche; quando di essa si riscoprirà la passione; quando soprattutto nella comunità cristiana si avrà il coraggio di tornare a parlare di vocazioni educative. Allora significherà che avremo accettato di lasciarci mettere in gioco dalle nuove generazioni, anche per pensare e generare insieme con loro un nuovo stile di vita.
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