venerdì 5 marzo 2010
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Assai opportunamente, dalle pagine di Avvenire, il presidente del Comitato organizzatore delle "Settimane sociali" dei cattolici, monsignor Arrigo Miglio, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica, non solo cattolica, sul non lontano appuntamento di Reggio Calabria (14-17 ottobre) sul tema "Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese". In effetti, quello che proviene dall’annunziato appuntamento – a tre anni di distanza dalla densa Settimana sociale di Pisa – può essere considerato come un forte invito alla progettualità politica dei cattolici. Quali le ragioni dell’insistente, e insieme preoccupata, sollecitazione che continua a venire da autorevolissime voci? A mio avviso, sono sostanzialmente due: una in negativo e una in positivo. La ragione in negativo è costituita dalla constatazione che – dopo la fine dell’unità politica dei cattolici e la "diaspora" dei credenti nelle varie formazioni politiche (ma, ancora più spesso, nel sociale o nel puro privato) – sono venuti meno molti dei luoghi antichi di elaborazione culturale e si assiste ad una pericolosa omologazione delle idee e delle convinzioni dei credenti alla cultura dominante, ad un "bipolarismo politico" nel quale molti cattolici non si riconoscono. Troppo spesso ci si limita a contestare l’uno o l’altro schieramento, ed a rilevarne i limiti, senza una adeguata capacità di proporre una seria alternativa. In positivo, la ragione di questa sollecitazione alla progettualità deriva dalla consapevolezza che i cattolici hanno ancora qualche cosa da dire alla società italiana, non sono semplicemente un grande serbatoio di voti al quale attingere in vista della realizzazione di progetti nei quali solo in parte i credenti si riconoscono. Ma considerato, appunto, che i cattolici hanno "qualche cosa da dire", come e dove dirlo? Reggio Calabria sarà certamente uno di questi luoghi; ma è necessario che ve ne siano anche altri, che l’appuntamento di ottobre sia la sintesi di un lungo e variegato lavoro preparatorio. Qui, tuttavia, sta il problema. Non mancano certo in Italia i centri e gli istituti di cultura di ispirazione cristiana; ma troppo spesso essi appaiono un poco ripiegati sul passato piuttosto che proiettati verso il futuro. Non vi è dubbio che è importante custodire la memoria dei cattolici che, soprattutto a partire dalla crisi del fascismo, hanno dato un importante e determinante contributo alla rinascita del Paese ed alla sua presenza nel mondo; ma non meno importante è progettare una società che sappia far fronte alle sfide che la attendono: dalla globalizzazione alle nuove prospettive dello sviluppo (o forse del passaggio da uno "sviluppo" solo quantitativo ad un, più autentico, "sviluppo" relazionale e sociale nel segno della solidarietà, come sollecita a fare la Caritas in veritate di Benedetto XVI). I cattolici italiani sono di fronte ad un’alternativa secca: o recuperare una loro autonoma capacità progettuale, così da offrire agli italiani un possibile modello di nuova società migliore, più giusta e solidale di quella attuale; oppure rassegnarsi a essere subalterni, salvo svolgere il pur importante ruolo di coloro che si battono per evitare alcune storture e per impedire la radicale distorsione dei valori nei quali essi credono. Un grande maestro del cattolicesimo democratico, Giuseppe Lazzati, sollecitava insistentemente i cattolici a pensare politicamente. Si sarebbe tentati di osservare, un poco malinconicamente, che i cattolici italiani sono oggi orientati in prevalenza ad "agire" (soprattutto nel vasto ed importante ambito del volontariato), e scarsamente inclini a "pensare". Ma è appunto a "pensare" – tutt’altra cosa che guardare passivamente al corso della storia – che la Settimana sociale invita e sollecita.
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