Contro la crisi demografica, un patto familiare multipartisan
sabato 22 giugno 2019

I dati Istat pubblicati nella settimana che si conclude oggi ci hanno consegnato l’ennesima fotografia drammatica della grave crisi demografica del nostro Paese. Se l’attuale trend negativo nel saldo tra nascite e morti accompagnato dalla fuga di giovani istruiti proseguirà, nel 2050 l’Italia si ritroverà con circa 6 milioni di persone in meno in età da lavoro. Anche altre crisi demografiche sono serie (oggi “Avvenire” dà conto a pagina 4 di quella europea, con focus sulla grave situazione spagnola e sulla ritornante condizione di rischio nella a lungo esemplare Francia), ma quella italiana è impressionante. E purtroppo più tema di discussione tra le forze politiche e nell'opinione pubblica che di decisioni davvero sagge e utili. Con circa 1,3 figli per donna, da noi ogni anno il saldo tra nascite e morti è fortemente negativo, e alla lunga insostenibile.
I risultati degli ultimi decenni di evidenze empiriche sul rapporto tra figli, soddisfazione e senso di vita nelle scienze sociali (presentati in questi giorni alla riunione annuale della Società italiana di economia, demografia e statistica) aiutano a capire le cause della crisi e a progettare le migliori politiche che possono risolverla. Questi studi indicano che ai nostri giorni la soddisfazione di vita aumenta in modo significativo nell'attesa di un figlio, ma crolla subito dopo la nascita, per tornare ai livelli iniziali dopo qualche anno. La ragione del crollo è dettata soprattutto dallo stress nell'armonizzare tempi di lavoro e famiglia, più marcatamente per le donne.

Il bilancio migliora molto, ma solo col passare del tempo. Se il contributo dei figli al senso della vita è sempre positivo e significativo anche nei primi anni di età, quello alla soddisfazione di vita aumenta quando i genitori sono avanti negli anni e il peso della cura si è ridotto rispetto agli anni della formazione, se i figli non vivono troppo lontano e diventa ancor più importante quando subentrano patologie importanti e i figli non si dimenticano dei genitori.
Questi studi empirici evidenziano anche quali sono i maggiori ostacoli alla natalità: la povertà di tempo, quella di denaro, la miopia intertemporale e l’avversione al rischio. Se infatti i giovani non hanno la capacità di guardare lontano, tendono a sovrappesare il costo dell’investimento in termini di tempo e a sottopesare la ricchezza relazionale il cui valore aumenta col passare degli anni. Infine, generare un figlio, come ogni investimento in un bene relazionale, è un rischio perché la qualità dei rapporti tra genitori e figli nel presente e nel futuro non è assicurata anche se l’intensità e la qualità dell’investimento in termini di tempo, cura e amore dei genitori può ridurre notevolmente questo rischio.

Se quanto abbiamo detto è vero, le politiche per promuovere la natalità ne conseguono naturalmente. Dati i noti problemi di bilancio pubblico, meno esse sono costose per le casse pubbliche più sono politicamente ed economicamente sostenibili e possiamo sperare che siano alla fine accolte e varate. Poiché uno dei maggiori problemi è quello della povertà di tempo, una giornata a settimana obbligatoria di smart work (lavoro a distanza, da casa) è un vero e proprio calcio di rigore a disposizione dei politici che vogliono contribuire a risolvere il problema. È ormai tecnicamente possibile per quasi tutte le tipologie di lavori, non riduce la produttività delle aziende e non ha costi per lo Stato. La seconda soluzione di cui si discute molto è il beneficio universale per il figlio, ovvero un contributo economico che scatta quando nasce il figlio e lo accompagna per alcuni anni.
L’amico, e portavoce del Forum delle Associazioni familiari, Gianluigi De Palo insiste da tempo su questo punto e, dopo la pubblicazione dei nuovi dati, ha lanciato l’ennesimo appello per far convergere su questa proposta l’azione delle forze politiche. Ancora più efficace sarebbe un contributo monetario direttamente indirizzato ad alleviare la povertà di tempo e a stimolare l’emersione dell’economia di cura che ruota attorno alla generazione sandwich dei giovani adulti «sderenati dalla combinazione lavoro-famiglia» e dal doppio compito di cura verso figli e genitori anziani.

In Francia il voucher per i servizi alla famiglia e alla persona ha offerto sgravi fiscali significativi e simili a quelli adottati per le ristrutturazioni edilizie in Italia, favorendo così non solo la natalità ma anche l’emersione di attività economica con benefici per la creazione di posti di lavoro e proventi fiscali per lo Stato. È insomma evidente dal quadro che abbiamo disegnato che se gli ostacoli alla natalità non impediscono ancora per fortuna ad un numero significativo di donne di scegliere di avere un primo figlio, l’esperienza della povertà di tempo e del carico di incombenze dopo la nascita dello stesso riduce fortemente la propensione ad avere un secondo figlio o addirittura un terzo. Per questo sempre in diversi Paesi i benefici fiscali per quest’ulteriore scelta sono maggiori, con effetti importanti sulla decisione di avere almeno due figli per famiglia.

Da sempre, nella storia dell’umanità, la scelta della generatività familiare è stata sorretta dalla consapevolezza di quanto questa sia importante per dare senso all’esistenza. Tale scelta risponde a una domanda di senso profondo dell’animo umano, quella di trasmettere il testimone della staffetta della vita sul pianeta alla propria discendenza. Un grande e vero passo avanti per darle risposta sarebbe quello di un limpido patto multipartisan che eviti che la competizione politica distrugga a ogni cambio di maggioranza quanto fatto da quella precedente. In un mondo difficile come quello di oggi i giovani hanno bisogno di orizzonti stabili e di non aggiungere l’incertezza delle politiche familiari alle tante che già caratterizzano il loro e il nostro vivere. Per questo motivo tutte le forze politiche che sono concordi nel riconoscere il problema dovrebbero convergere almeno su queste poche e semplici risposte.

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