Respiriamo l'inferno senza colpa. Ora basta
sabato 14 settembre 2019

Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, venerdì scorso ha dovuto cambiare idea. Parlo, naturalmente, dei dubbi veri di una persona intellettualmente e moralmente onesta. Perché i "dubbi" che continuano ad avere coloro che, in un modo o in altro, fanno affari milionari riducendo (o lasciando ridurre) in fumi e ceneri tossici gli scarti industriali che non sanno come smaltire legalmente, dubbi non sono, ma menzogne. La fantasia degli antichi ha sempre immaginato e raffigurato l’inferno come una fornace ardente. Per dare l’idea della sofferenza, della distruzione, del tormento. Occorre ammettere che ci sono riusciti a far i vedere e vivere un inferno in terra. Le fiamme alte, i fumi neri, i fetori velenosi che si sprigionano dagli enormi roghi che siamo costretti a subire, non possono che essere paragonati all’inferno.

Un inferno che la Campania, venerdì scorso, ancora una volta, ha dovuto sopportare con orrore e terrore. Si è iniziato da Battipaglia, ridente cittadina del Salernitano. Nella notte, in fumo sono finite tonnellate di pneumatici ammassati in un’azienda. I cittadini, già allarmati da precedenti problemi ambientali, sono andati in panico. Le fiamme, altissime e difficili da domare, sembravano volessero sfidare e irridere anche i Vigili del fuoco che si affannavano ad ammansirle. La sindaca del paese ha avuto parole severissime per i responsabili dello scempio. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha dichiarato: «Dietro c’è qualcosa di losco». Noi abbiamo sempre pensato che dietro le tante aziende che trattano rifiuti e che bruciano, ci sia «qualcosa di losco». Naturalmente sarà la magistratura a dire se si è trattato di un incendio doloso o meno. Intanto il danno ambientale e sanitario si è consumato. Le diossine sono state respirate.

Poche ore dopo è stata la volta di Avellino. Anche qui a bruciare non è stato un cumulo di rifiuti lasciato da un incivile ai bordi della strada, ma un’azienda che produce contenitori di plastica in cui vengono allocate le batterie per auto. Anche qui il sindaco, preoccupato, ha ordinato ai suoi concittadini di rimanere chiusi in casa. Ancora una volta nessuno è in grado di dire se ad accendere la miccia dell’inferno sia stato un demonio in carne e ossa o un demonio sotto forma d’incidente. Allibiti, sconvolti, i campani seguivano sul web e sui social le immagini e i video che i volontari prima e i giornalisti dopo, andavano diffondendo. Siamo rimasti senza parole. Annichiliti. Ma al peggio, si sa, non c’è mai fine.

A un certo punto, ecco comparire sui social un povero prete come me, don Marco Ricci, parroco della zona vesuviana, da anni impegnato per la salvaguardia del suo territorio. Il suo grido di dolore, di angoscia, di speranza, ci ha gelato il cuore: «Aiutateci. Stiamo respirando veleni». Aiutateci, salvateci da questa guerra infame, combattuta ad armi impari. In fiamme, infatti, stava andando l’ex cava Fiengo di Ercolano. Siamo allo stremo.

I credenti sanno che la cosa migliore da fare quando il cuore duole e tu nulla puoi fare nell’immediato, è pregare. Chi ha il dono della fede conosce bene la potenza che si sprigiona dal confidare in Dio; nel poggiare sul suo cuore le amarezze, le delusioni, la rabbia, l’angoscia che non riesci più a portare sulle tue spalle. Lo abbiamo fatto. Si è fatta notte, senza requie. Ed ricominciato il giorno, senza pace. Siamo sfiniti. Questi ultimi incendi, diversi tra loro, meritano di essere studiati uno per uno. Ma se diversa è la genesi dei roghi, uguale è il danno provocato all’ambiente e alla salute dei cittadini. Una cosa è certa: ciò che è avvenuto venerdì 13 settembre 2019 in Campania va ad aggiungersi allo scempio che stiamo denunciando e sopportando da anni. Mostra con chiarezza estrema che non solo niente o quasi è cambiato, ma che le cose stanno peggiorando. E casi sempre nuovi dicono a chi vuol capire che il contagio è esteso in tutta Italia, al Sud come al Nord.

Le idee e le opinioni si possono anche confutare, la realtà, no. Qui, il fuoco maligno imperversa. Perciò ci uniamo a don Marco e tutti insieme, alle legittime autorità, nelle quali, nonostante tutto, continuiamo ad avere fiducia, gridiamo : «Aiutateci ad aiutarci». È un dovere per tutti, di più per chi ha potere.

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