venerdì 5 aprile 2013
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Papa Francesco, nella sua prima Via Crucis al Colosseo, ha parlato del giudizio di Dio. «La Croce di Gesù – ha affermato – è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà, Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono». Perché il tema del giudizio nel giorno del Venerdì santo? Qual è la pertinenza intima, se c’è, fra l’evento di Croce e il futuro di giudizio di Dio? La risposta è nel fatto che la Croce dice la qualità del Giudice (è giudice e salvatore) e, perciò, anche quella del giudizio (è un atto di misericordia). Il Nuovo Testamento non smentisce i temi del giudizio emergenti nell’Antico Testamento (cfr. Mt 13,49-50; 24,31), ma apporta una decisiva novità: Gesù pone questi sullo sfondo, mentre in primo piano balza sempre più evidente la smisurata e inaspettata misericordia di Dio. Papa Francesco si riferisce al "giudizio di amore", al "giudizio di perdono", al "giudizio di misericordia" che già ora, da subito, Dio vuole concederci e di fatto ci concede, ma questa qualità del giudizio è la stessa anche di quello finale. Anzi, l’unica certezza rispetto a esso è questa: che ci giudicherà il Salvatore e che «la sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore», come afferma san Giovanni della Croce, e in più che saremo giudicati con il criterio dell’amore. Il punto più forte del discorso di Francesco è stato quando ha aggiunto – a braccio – che la Croce è anche «giudizio», chiudendo con un’espressione che incide sulle carni del cuore: «Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore, sono salvato; se lo rifiuto, sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva».

Conviene aiutarsi con un’icona di pietra. Sul protiro della cattedrale di Ferrara (prima metà del XIII secolo) è scolpita una specie di Dies irae di pietra scolpito (cfr. P. Stefani, Per una lettura iconografica del protiro della cattedrale di Ferrara, in "Humanitas", 3, 1998, 555-570). Il senso ultimo dell’iconografia del timpano appare quello di far incontrare tra loro in modo drammatico la scena del giudizio finale con la figura del Cristo pasquale. Il Giudice con i segni della crocifissione tiene aperto, appoggiato sulla coscia sinistra, un libro: laddove tutto è registrato, non può che prevalere l’aspetto accusatorio. Qui non si tratta del libro della vita, ma d’una specie di "promemoria" universale orientato verso la dannazione, non per nulla esso è collocato a sinistra. Questo senso viene rafforzato dal fatto che il codex è aperto verso l’osservatore: è lui che deve leggerlo scorgendovi la registrazione delle proprie colpe. Però, alla stessa altezza del libro, da ambo i lati, sono mostrate le palme aperte e piagate del Crocifisso risorto. In questo particolare va scorto il sopravanzare della misericordia sulla rigida giustizia: le pagine del libro tendono a condannare, le mani piagate sono invece volte ad assolvere. Posto in grembo al Crocifisso risorto il libro perde il suo aspetto di terribilità in quanto contrastato dai segni della passione conservati per sempre nel corpo del Signore. Il libro potenzialmente tutti condanna; le piaghe del Giudice, invece, tutto coprono (cfr. 1 Cor 13,7). Anzi, il contenuto di quel libro «scritto all’interno e all’esterno» non sono solo «lamenti, pianti e guai» (Ez 2,9): Cristo stesso è «il libro scritto dentro e fuori» (San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, 6,7), come pure canta Dante: «Nel suo profondo vidi che s’interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna» (Paradiso, Canto XXXIII, 86-88). II libro, in quo totum continetur è la divinità di Cristo. Così il libro assurge a simbolo della suprema salvezza e del più alto valore. L’espressione-viatico del nuovo Vescovo di Roma – «Dio ci giudica amandoci» – può essere chiusa così: perché Dio ha dimostrato di aver solo amato e questo perché egli sa solo amare.

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