È ora di curare con l’educazione
venerdì 7 aprile 2017

Un’epidemia di malattie psichiatriche sembra aver colpito le scuole italiane. L’Istat segnala che negli ultimi anni sono raddoppiate le certificazioni di disabilità (legge 104), quadruplicati i Dsa (Disturbi specifici di apprendimento – legge 170/2010) e da ultimi sono dilagati i cosiddetti Bes (Bisogni educativi speciali). Per salire su ciascuno di questi binari occorre una diagnosi neuropsichiatrica e quindi si ha diritto a un insegnante di sostegno o a un programma specifico con facilitazioni attinenti anche alle prove di verifica. Il risultato finale è che in una classe elementare italiana un bambino su 4 è in media portatore di una diagnosi attinente a un deficit specifico.

Da ultimo la pratica sempre più diffusa nelle scuole di attivare degli screening a tappeto alla ricerca di carenze e disturbi di varia natura ha portato un’ulteriore impennata delle segnalazioni. Fra le tante osservazioni critiche che si possono sollevare rispetto a questo inquietante trend, due appaiono particolarmente urgenti. La prima riguarda la naturale immaturità dei bambini e anche dei ragazzi, un’immaturità fisiologica, neurologica ed emotiva che li porta a comportamenti apparentemente insensati, ma quasi sempre compatibili con la loro età acerba. Confondere questa naturale differenza infantile con le patologie appare non solo un azzardo professionale, ma una vera e propria violazione dei diritti dei bambini.

La seconda questione riguarda la rinuncia della scuola ad utilizzare i propri specifici strumenti educativi. Di fatto succede che se un alunno mostra un disturbo quale vivacità, scarsa concentrazione, aggressività, disinteresse, invece di attivare i necessari dispositivi pedagogici si chiede alla famiglia di inviarlo immediatamente al servizio di neuropsichiatria per un controllo. In questo modo la scuola si sottrae alla propria vocazione diventando totalmente subalterna al sistema medico sanitario. Lo stesso avviene per il bullismo, non più considerato un problema educativo, ma un affare di cui devono occuparsi le forze dell’ordine. In realtà i dispositivi pedagogici non mancano: il lavoro di gruppo, il mutuo insegnamento, i laboratori maieutici, la disposizione condivisa della classe piuttosto che quella frontale, il circle time, tanto per citarne alcuni. La diagnosi neuropsichiatrica deve essere l’ultima spiaggia, non la prima scelta. Infine, appare del tutto evidente che le famiglie italiane hanno un grave problema nell’educazione dei figli. Sono diventate troppo emotive, nervose, con scarsissima coesione educativa fra i genitori stessi.

Prima di psichiatrizzare una generazione di figli il buon senso dice di verificare se i basilari educativi sono presenti o se viceversa la confusione pedagogica negli adulti crea disturbi e scompensi nei più piccoli. Nel 2009 ho proposto il concetto di malattia dell’educazione per denotare tutti gli stati infantili e preadolescenziali di disagio e seria difficoltà che sono da riportare a deficit educativi dei genitori. La vera emergenza è la disattenzione crescente nei confronti dell’educazione quasi che i bambini possano farcela da soli senza un cantiere ben organizzato da genitori, insegnanti e adulti. Messe insieme l’incapacità d’interpretarsi in senso educativo e l’alienazione infantile nei confronti del gioco, della motricità e della natura, si capisce come le difficoltà emotive non appartengano a motivazioni neurologiche, ma prevalentemente a situazioni ambientali dove l’innaturalità della vita impedisce anche il recupero di eventuali ritardi. Ecco perché si può curare con l’educazione. Aiutare gli adulti a rimuovere le proprie carenze educative, ripristinando i basilari minimi, consente di uscire dal tunnel della patologizzazione.

E permette di offrire un’alternativa, una svolta di coraggio educativo per portare un contributo decisivo, tappa per tappa, alla crescita dei bambini. Il Convegno 'Curare con l’educazione. Come evitare l’eccesso di medicalizzazione psichiatrica dei bambini e dei ragazzi' di sabato 8 aprile a Milano organizzato dal CPP (Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione di conflitti) in collaborazione con diverse associazioni educative e con il Comune di Milano è un primo tentativo di utilizzare la buona educazione come cura e liberare le nuove generazioni dagli eccessi di medicalizzazione nella loro crescita emotiva e cognitiva.

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