venerdì 1 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
L'elenco delle accuse era (e rimane) impressionante. Deportazione o trasferimento forzato di decine di migliaia di croati, musulmani e altri civili "non serbi" in Bosnia, Croazia e Serbia. Omicidio e distruzione deliberata di abitazioni, monumenti e luoghi sacri (sempre di popolazioni "non serbe"). Torture e stupri, anche nei campi di detenzione. Incitamento all’odio etnico-religioso contro croati, musulmani e altre popolazioni "non serbe". La fama di Vojislav Seselj è commisurata alle nefandezze di cui si è macchiato nelle guerre dei Balcani, perseguendo il sogno (o, meglio, l’incubo) di una purezza etnica della Grande Serbia. La sua responsabilità morale e politica non sarà cancellata, ma la sorprendente assoluzione pronunciata ieri in primo grado dalla Corte Onu dell’Aja gli restituisce un’innocenza penale su cui pochi avrebbero scommesso.
Seselj s’è sempre detto estraneo a ogni imputazione, sebbene la sua carriera, alla destra di Slobodan Milosevic, con cui ruppe opponendosi agli accordi di pace per la Bosnia siglati a Dayton, testimoni il ruolo chiave avuto nelle vicende belliche che hanno segnato di sangue gli anni Novanta dell’ex Jugoslavia. Sia come esponente di governo sia come capo dei paramilitari, il fondatore del Partito radicale serbo non ha mai nascosto i suoi obiettivi, che già lo avevano messo in urto con il regime di Tito, sotto il quale fu incarcerato negli anni Ottanta per le sue posizioni nazionalistiche.L’inopinato esito di un processo in ogni caso inaccettabilmente lungo – Seselj fu estradato in Olanda nel 2003 e da due anni è libero a Belgrado perché malato di tumore – non sembra comunque destinato a riaprire antiche ferite, più di quanto già non accada quotidianamente nelle zone in cui gli odii del conflitto sono ancora accesi. La reazione della Croazia e della Bosnia, che hanno bollato la sentenza rispettivamente come vergognosa e scioccante, fa parte più di un inevitabile copione diplomatico che di un’autentica preoccupazione per le conseguenze della decisione dell’Aja.
L’assoluzione è frutto di un dibattimento pasticciato (con i giudici divisi e la Procura impacciata) in cui le prove dirette a carico dell’imputato sono risultate sfocate e divergenti, e non è escluso che un eventuale secondo grado ribalti il verdetto. Non «crimini contro l’umanità» – ha detto il presidente della Corte che ha emesso il verdetto, Jean-Claude Antonetti –, ma una «guerra» che ha visto anche il coinvolgimento dei civili. Un coinvolgimento che ha sfiorato il genocidio e che fece auspicare a Giovanni Paolo II un intervento di «ingerenza umanitaria» (non a caso Seselj scrisse un feroce libello contro il Papa). E che, a massacri in Bosnia-Erzegovina ormai compiuti, portò la Nato a intervenire contro Belgrado in Kosovo.Non poteva quindi essere solo un’altra condanna – pochi giorni fa sono stati inflitti 40 anni a Radovan Karadzic per l’eccidio di Srebrenica – a riportare vera giustizia oltre due decenni dopo i crimini e i lutti. Non sono mai le aule di giustizia da sole a riparare i guasti e a pacificare la memoria. Anche perché la Corte dell’Aja, in particolare, non si è segnalata per efficacia e celerità nei giudizi. Sono diversi i processi politici e sociali che si devono innescare, sui territori e nei cuori, per uscire dal circolo vizioso del risentimento.
La situazione bosniaca, con la divisione del Paese sancita dagli accordi di pace, fa sì che ancora oltre il 60% della popolazione abiti lontana da quella che era la propria casa e che le tensioni restino altissime, tanto che due giovani su tre vorrebbero lasciare al più presto il Paese. Contano in queste situazioni più le scuole interetniche promosse dalla Chiesa cattolica che sentenze ambigue e lontane. E c’è da essere sollevati per il fatto che raccolgano ben pochi sostenitori i comizi nei quali in queste settimane Seselj brucia a Belgrado la bandiera Ue.Sarà forse proprio l’avvicinamento all’Unione Europea ciò che potrebbe aiutare a svelenire l’eredità del conflitto. A condizione che le istituzioni sovrannazionali, compresa la Corte Onu e una Ue pacifica, aperta e sicura "casa dei popoli", sappiano comprendere sensibilità, esigenze e priorità di un cammino di pace che nei Balcani è ancora dolorosamente da completare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: