venerdì 24 luglio 2009
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Tempi difficili per Barack Obama. Sei mesi dopo la sua presa di potere il presidente degli Stati Uniti rimane popolare, ma l’euforia diffusa dei primi cento giorni ha lasciato il posto a critiche crescenti, anche all’interno del Partito democratico, mentre la sfiducia generale aumenta. Secondo gli ultimi sondaggi, colui che in gennaio era visto come il taumaturgo dell’economia da oltre il settanta per cento dei cittadini, oggi è approvato soltanto da un americano su due (o poco più). Pesano molto, sul giudizio, i magri risultati del piano di rilancio di febbraio: un piano da 787 miliardi di dollari che però non è riuscito ad abbattere la disoccupazione (oltre il dieci per cento a fine anno, secondo le previsioni della stessa Casa Bianca). Pesa, anche, l’ampiezza della spesa pubblica, che appare irrefrenabile e comunque sproporzionata a un elettorato tradizionalmente ostile agli interventi dello Stato, mentre al tempo stesso in molti cresce il malumore per il ritardo delle riforme promesse.È su questo sfondo inquieto che va collocato l’annuncio lanciato dal presidente in una conferenza stampa «in prima serata» (la quarta in sei mesi): ossia l’annuncio della grande riforma del sistema sanitario, che dovrebbe essere varata «entro il 2009». Tale riforma (una vera rivoluzione socio-economica per gli Stati Uniti) vuole estendere la protezione sanitaria a tutti, anche a quei 47 milioni di americani che sono privi di qualunque copertura, impedendo pure che ne siano privati coloro (oggi sarebbero ben 14mila al giorno) che la perdono perché non sono più in grado di pagarla o perché abbandonati dalle compagnie di assicurazione, le quali seguono una politica predatoria e spietatamente cavillosa (ovviamente a proprio esclusivo vantaggio).La riforma annunciata da Obama, che vorrebbe arrivare a una prima approvazione della stessa entro il 7 agosto, incontra al Congresso una diffusa opposizione. Repubblicani e democratici conservatori, sui quali premono le lobbies delle assicurazioni, dell’industria farmaceutica e degli ospedali privati, sostengono che l’estensione a tutti i cittadini della copertura sanitaria aumenterà a dismisura il deficit federale. Il presidente sostiene, al contrario, che la riforma «è essenziale per il salvataggio dell’economia» e che il bilancio federale è oggi a grave rischio a causa degli aumenti vertiginosi dei costi degli aiuti sanitari agli anziani e ai poveri. Ma dove e come trovare la copertura finanziaria dell’annunciata riforma? Basterà, secondo Obama, usare al meglio i fondi già disponibili (coprendo con questo due terzi della spesa) e tassando i più ricchi (il terzo mancante dei costi), senza aggravi per la classe media. Non sappiamo se davvero, come ha detto speranzoso il presidente, le stelle «siano allineate», e ignoriamo i particolari (compreso quello relativo all’eventuale impiego di fondi pubblici per pratiche abortive) dell’eventuale riforma, che naturalmente seguirebbe, anche a causa di svariati e fortissimi interessi, un cammino frastagliato e frutto di compromessi. Tuttavia, anche dopo aver riflettuto su tanti casi americani di cure negligenti o addirittura negate ai poveri, di mostruose parcelle che hanno indebitato a morte (letteralmente) i pazienti, di vittime (pure quanto a salute) della disoccupazione, al momento non possiamo che elogiare il progetto presidenziale. Il cui spirito evoca la parabola del buon samaritano in un Paese (ma non è il solo al mondo) che non sa garantire a tutti i suoi cittadini un’assistenza sanitaria, come minimo, decente.
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