Nuovo ordine, vecchi schemi
giovedì 6 luglio 2023

L’invasione russa dell’Ucraina, la preoccupante crescita militare, politica ed economica della Cina, la crisi economica, la messa in discussione della globalizzazione e le tensioni interne all’Occidente producono – fra i tanti – un ulteriore effetto preoccupante, quello di riportarci a una visione nuovamente bipolare delle relazioni internazionali, con la tanto citata “ripolarizzazione del mondo”.

Reazione in fondo comprensibile: l’Occidente ha vinto, senza sparare un colpo, la Guerra Fredda e ancora oggi – a decenni di distanza – tendiamo ad adottare le categorie interpretative del periodo bipolare. Che erano semplici, nette e anche gratificanti: da una parte noi, i buoni, dall’altra loro, i cattivi. E così si diffonde nelle analisi degli esperti, o dei presunti esperti, il racconto di una nuova ripolarizzazione, di un mondo che si fa nuovamente bipolare, diviso tra democrazie da una parte e autocrazie dall’altra.

Di fronte alla minaccia rappresentata dal blocco autoritario non resta altra scelta che fare fronte comune, accentuando il sostegno militare all’Ucraina, sganciandosi dai legami economici e tecnologici con la Cina e chiamando a raccolta tutti i nostri alleati nel mondo. In realtà, le dinamiche internazionali sono molto più complesse e vengono influenzate da una vasta gamma di fattori, tanto che appare illusorio ridurle a una semplice dicotomia di bipolarismo o multipolarismo. Lo dimostra la resistenza, anzi il rifiuto, dei tanti (presunti) alleati dell’Occidente in Africa, America Latina e in Medio Oriente a farsi arruolare in questa nuova polarizzazione.

Anche Paesi strettamente a noi legati come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Egitto non hanno approvato le sanzioni contro la Russia e si rifiutano di ridurre i legami con la Cina. Al contrario, Pechino è sempre più un interlocutore apprezzato in quelle regioni. Se per noi in Europa la guerra in Ucraina è il conflitto che ha cambiato irreversibilmente il sistema internazionale, per tanti altri Paesi questo è solo uno dei tanti conflitti che hanno insanguinato, e insanguinano tuttora, il pianeta.

Anche il contenimento militare della Cina nella regione dell’Asia Pacifico voluto da Washington rimane una dinamica, appunto, regionale. E quindi tanti Stati non sono disposti a farsi ingabbiare nella nostra prospettiva: per essi il mondo è e deve diventare sempre più multipolare, o addirittura a-polare. Ne sta derivando una accelerata perdita di influenza politica dell’Occidente, e della superpotenza statunitense in particolare, in aree considerate strategiche: dall’Africa, al Golfo, a zone dell’America Latina.

Ma questa lettura del mondo che si fa da noi così popolare, contiene un pericolo ancora maggiore, perché più sfuggente. Ci impedisce di vedere i rischi o di sminuire le crisi del nostro modello di democrazia, dalla estremizzazione dello scontro politico negli Stati Uniti o alla deriva delle “democrazie autoritarie” nell’Europa Orientale, un vulnus che r ischia di infettare tutta l’Unione Europea. Tanto più che l’invasione russa in Ucraina sta trasformando i Paesi dell’Europa dell’Est in potenze militari che vogliono non tanto la difesa di uno Stato invaso, ma propugnano – come i polacchi – l’umiliazione totale della Russia o la sua “scomposizione” quale Nazione unitaria. Un obiettivo che porta con sé la trasformazione stessa del nostro intervento in Ucraina: da un aiuto militare per resistere a una invasione, con l’obiettivo di fermare il conflitto, a una sorta di proxy war, una “guerra per procura” della Nato contro la Russia.

La “Fortezza Europa” non è solo quella che, pesantemente armata, fronteggia i barbari che la minacciano da Est. È anche quella che lascia annegare migliaia di migranti nel Mediterraneo, che accoglie i profughi ucraini mentre respinge afghani e siriani, che vede crescere il sostegno popolare verso ideologie radicalmente e apertamente razziste. Che vuole chiudere le frontiere mentre gli imprenditori europei denunciano la mancanza di milioni di lavoratori. E che scopre che milioni di europei, figli o nipoti di migranti, vivono in un limbo pericoloso e alienante di europei di serie B, sperduti in identità sfuggevoli e frustranti. Un mondo diviso fra buoni e cattivi vale per i pessimi film dei super-eroi di Hollywood, non per il sistema internazionale di oggi. Che ha bisogno di meno slogan o frasi ad effetto, e di più impegno per costruire le tante paci che ancora mancano all’appello. E delle società meno squilibrate all’interno anche nella Vecchia Europa.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI