mercoledì 17 ottobre 2012
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Caro direttore,
le scrivo perché ritengo che in questo Paese si stia veramente passando il limite, che si stiano sacrificando sull’altare dell’Europa e del pareggio di bilancio valori importanti e profondi. Sono diventato cieco assoluto all’età di nove anni quando, mentre giocavo nelle campagne di Favara, città dell’Agrigentino che mi ha dato i natali 78 anni or sono, con un mio amico raccogliemmo da terra una penna luccicante che ci sembrò d’oro. Cercammo di aprire il tappo, era una bomba. Da quel fatidico 26 giugno la mia vita cambiò per sempre. Con la mia, quella di altri 850mila civili italiani, molti dei quali bambini, che in quegli stessi anni subirono sulla loro pelle i danni collaterali della guerra. A distanza di quasi settant’anni dalla fine del conflitto, le vittime civili di guerra sopravvissute sono poco più di 120mila. Si tratta di mutilati, invalidi, grandi invalidi, ciechi di guerra, ex mutilatini di Don Gnocchi, orfani e vedove, che dopo avere già offerto un grande sacrificio, fisico e morale per il Paese, oggi vedono sopraggiungere la vecchiaia ad aggravare i disagi causati dalle invalidità e dalle mutilazioni. Mi sembra opportuno ricordare che da oltre 30 anni le vittime civili di guerra sono del tutto equiparate, sotto ogni punto di vista, agli ex-militari e ai loro congiunti. A questi figli dell’Italia, ormai numericamente in via di progressiva, rapida diminuzione, anche in virtù del duraturo periodo di pace che ha seguito il secondo conflitto bellico, lo Stato ha riconosciuto un risarcimento, sotto forma di trattamento pensionistico. L’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978 stabilisce, infatti, che «La pensione, assegno o indennità di guerra… costituiscono atto risarcitorio, di doveroso riconoscimento e di solidarietà, da parte dello Stato nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni nell’integrità fisica o la perdita di un congiunto». Con grande sorpresa, dolore, indignazione, abbiamo appreso in questi giorni che questa «solidarietà» è finita. Il Consiglio dei ministri del 9 ottobre scorso, ha stabilito che a partire dall’anno corrente, le pensioni di guerra verranno assoggettate all’Irpef. Ritengo questa disposizione odiosa dal punto di vista morale e abnorme da quello giuridico. Mai, neppure nei momenti più difficili del Paese, si era ipotizzato di tassare il risarcimento e la solidarietà che doverosamente lo Stato ha riconosciuto alle più innocenti vittime della guerra. Ma al di là di queste considerazioni di carattere morale, la decisione adottata dal Consiglio dei ministri appare palesemente incostituzionale, per violazione dell’art. 53 della Carta fondamentale. Quest’ultimo, infatti, prevede che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva...». E di certo una pensione, un’indennità o un assegno che compensano la perdita di uno o più arti, della vista o di un caro congiunto – peraltro immutati da 25 anni e fortemente erosi dall’inflazione – non possono certo essere considerati un guadagno per chi li percepisce. L’articolo 77 del citato decreto presidenziale 915/78 (come modificato dall’articolo 5 della legge 261/1991) prevede conseguentemente che «Le somme corrisposte a titolo di pensione, assegno o indennità (…) per la loro natura risarcitoria, non costituiscono reddito. Tali somme sono, pertanto, irrilevanti ai fini fiscali, previdenziali, sanitari e assistenziali e in nessun caso possono essere computate, a carico dei soggetti che le percepiscono e del loro nucleo familiare, nel reddito richiesto per la corresponsione di altri trattamenti pensionistici, per la concessione di esoneri ovvero di benefici economici e assistenziali». Anche la Corte costituzionale, in numerose pronunce, ha costantemente ribadito il carattere risarcitorio e non reddituale delle pensioni di guerra e dunque la loro non assoggettabilità a Irpef (cfr. sentenze 70/1999, 193/1994, 204/1992, 566/1989, 387/1989). Confido, caro direttore, che questa sciagurata norma venga ritirata dallo stesso Governo durante l’iter parlamentare della manovra di bilancio o che comunque il capo dello Stato, quale garante dei valori e dei principi costituzionali, si rifiuti di firmare un simile provvedimento. Restano in ogni caso la ferita profonda e l’amarezza che questo “brutto pensiero” ha suscitato in chi, ormai vecchio, ha condotto un’intera vita di sofferenze fisiche e morali.
Giuseppe Castronovo - Presidente dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra - Onlus
 
 
Condivido la sua amarezza e la sua indignazione, caro presidente Castronovo. E faccio mio il suo auspicio di un pronto e operoso ravvedimento di Governo e Parlamento.
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