venerdì 14 agosto 2020
Nella festa dell'Assunzione di Maria la sorgente di una riflessione preziosa per le comunità ecclesiale e civile
La mano di Dio (36 x 80 x 58 cm) è una scultura in marmo creata da Auguste Rodin verso il 1898

La mano di Dio (36 x 80 x 58 cm) è una scultura in marmo creata da Auguste Rodin verso il 1898 - .

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Celebreremo domani la festa dell’Assunzione di Maria. Un dogma relativamente recente, dato che risale al 1 novembre 1950. I dogmi non sono traduzioni razionali del mistero, per renderlo chiaro e comprensibile una volta per tutte. O, al contrario, per evitare che ci si interroghi a riguardo. È vero piuttosto il contrario: i dogmi (dal greco dokéo, che significa credo) servono a evitare che il mistero sia banalizzato, reso formula da imparare a memoria, con l’illusione di possederlo. Come scriveva Romano Guardini, si collocano attorno al mistero per proteggerlo: «Il dogma è una solida e severa muraglia che custodisce la sorgente, la profondità, la vita » ( La vita della fede). Che salvaguarda la sua inafferrabilità e inesauribilità. La sua capacità di suscitare domande e di mettere in cammino. Per questo il dogmatismo è pericoloso: perché cerca di mettere le mani sul mistero, e in fondo di neutralizzarne le potenza trasformatrice sempre nuova, mettendo 'in sicurezza' l’ortodossia in modo rassicurante quanto fuorviante.

L’Assunzione di Maria, a maggior ragione oggi, può essere una sorgente vitale cui attingere per non perdersi in questo tempo di grande confusione, disorientante ma anche fecondo. La Bibbia dice che Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina. Il femminile non è una copia, un’estensione, un supplemento del maschile ma è consustanziale all’umanità in quanto immagine di Dio: l’uomo e la donna nel loro legame sono immagine di Dio, non lo si dirà mai abbastanza. All’uomo e alla donna insieme Dio consegnò perciò il compito di coltivare e custodire, di portare a compimento la creazione e se stessi, nella reciprocità. Solo questo legame è fecondo. Solo con la donna l’uomo può generare, altrimenti può solo fabbricare. E non è un caso che, avendo spezzato questo legame, l’obiettivo oggi sia quello di rendere tutto fabbricabile: persino la vita. Che poi significa voler fare a meno dell’altro.

Questa verità è insieme teologica, antropologica, epistemologica: spezzare ciò che è connesso, rimuovere una parte o emarginarla porta con sé invece un pensiero mutilato e una cultura mortifera, anche nella Chiesa. La rottura della reciprocità uomo-donna non è solo una disattenzione, o una prevaricazione, ma la matrice di ogni pretesa di autosufficienza e di ogni incapacità di accogliere l’altro, con l’occasione di libertà dalla prigione di noi stessi che ci offre. Non ' cogito ergo sum', dunque. Casomai ' cogitor': sono pensato, sono amato. O, con Pessoa, sono «un sogno di Dio». Perciò esisto. Il senso più profondo della reciprocità è oggi da riscoprire, e la figura di Maria è di grande aiuto per coglierne la ricchezza rispetto al più usato 'complementarietà'. Per dirla in modo sintetico, la complementarietà è funzionale al mantenimento dello status quo, dato che ha al centro il ruolo e il funzionamento delle cose; in più, non implica necessariamente la relazione, ma semplicemente una divisione dei compiti. Perciò non esclude affatto la prevaricazione e la violenza: in fondo, anche il rapporto dominatore-dominato, o schiavopadrone è di complementarietà. La complementarietà non elimina il dualismo; anzi, lo implica e lo rafforza. Si fa strada la consapevolezza che il maschile e il femminile non debbano essere letti in chiave di complemen-tarietà: non si tratta di dividersi i ruoli, ciascuno a svolgere il proprio compito dentro un ordine già dato (dove la differenza diventa disuguaglianza), semplicemente da conservare. Si tratta, piuttosto, di generare e rigenerare continuamente se stessi e il mondo, a partire da una relazionalità costitutiva: non solo con l’altro sesso, ma con tutto ciò che ci trascende, che va oltre di noi. Con ogni alterità, minuscola e maiuscola.


La dualità maschio-femmina, l’insolubile implicazione dei due è la matrice di ogni forma di ospitalità dell'alterità. E, alla fine, la condizione della pace e della fraternità

Adamo ed Eva non sono due individui che poi si mettono in relazione, ma sono carne della stessa carne. Non possono esistere l’uno senza l’altra e diventano se stessi a partire da questo legame originario: e infatti è solo vedendo la donna ( ishà) che l’indifferenziato Adam si percepisce come uomo ( ish). Separare, gerarchizzare, pensare di poter fare a meno di una parte, o di doverla dominare è il modo di procedere del dualismo, tipico della cultura greca, non del Vangelo. Anzi, sempre per Guardini il dualismo è il «peccato originale metafisico » ( L’opposizione polare).

Il libro della Genesi ci dice anche che la reciprocità non è mai soltanto 'a due'. C’è sempre una 'terzietà' che precede, che fonda, che segue, che provoca, che sostiene e che consente alla relazione di mantenersi viva e dinamica. È da Dio che nascono Adamo ed Eva, madre di tutti i viventi e iniziatrice della catena delle generazioni che seguiranno. Nella reciprocità, si potrebbe dire, ciascuno si supera sbilanciandosi verso l’altro, fidandosi di un terzo. È poi Satana che provoca la donna, la quale cede e, nella reciprocità, porta con sé anche Adamo. Perché la relazione, anche quella più profonda e qualificante, non è mai buona di per sé e una volta per tutte, ed è sempre a rischio di perdersi. Poi viene Maria, la nuova Eva. È lei che accoglie il 'terzo', il messaggio di Dio attraverso l’angelo, ed è sempre questo 'terzo' a dare a Giuseppe il coraggio di uscire dal 'si è fatto sempre così': il coraggio di fidarsi e affidarsi, che è poi il movimento della fede. Per questo la loro reciprocità è feconda e salvifica. Nella reciprocità non si esegue un compito, ma ci si apre e ci si lascia trasformare dall’altro. Le scritture ci invitano al discernimento rispetto a questo 'altro'.


Il femminile non è una copia, un’estensione, un supplemento del maschile ma è consustanziale all’umanità in quanto immagine di Dio: l’uomo e la donna nel loro legame sono immagine di Dio Una rappresentazione di questa verità è la scultura 'la mano di Dio' di Auguste Rodin: due figure adagiate sulla mano di Dio

Se la complementarietà è all’insegna della divisione, la reciprocità è all’insegna della indissolubilità di ciò che è unito. I diversi non si contrappongono né si fondono, ma restano in tensione, mai l’uno senza l’altro: ed è proprio questa ten- sione che rende la vita feconda, dinamica, davvero viva. Un’immagine plastica che rende poeticamente questa verità è la scultura 'la mano di Dio' di Auguste Rodin: due figure, ancora parzialmente incomplete ma riconoscibili, adagiate sulla mano di Dio che non le afferra ma le accoglie e le sostiene: un grembo che genera, non una mano che fabbrica. I due, maschio e femmina, sono intrecciati ma non fusi, formano una unità che non si confonde e non annulla le singolarità. Eva sorregge con tenerezza il capo di Adamo, ma ciò che veramente colpisce è il bacio che li unisce: trasmissione di respiro, di vita, di anima, di infinito che può circolare tra i due solo nella relazione che trasforma entrambi. Non un contratto tra individui che restano tali e quali, ma un’avventura dove ci si affida alla vita e, raccogliendone le provocazioni, ci si lascia trasformare. La storia della creazione diventa storia della salvezza con Maria, anche lei nella reciprocità con Giuseppe suo sposo, che lo rende audace, e in quella col suo bambino, nello scambio di respiri che diventa vita piena per il mondo.

Se questo è vero, occorre trarne le conseguenze. Capendo che, per esempio, sopprimere uno dei due poli nella formazione dei sacerdoti, come troppo a lungo si è fatto, sia profondamente contrario a quanto le scritture, e i dogmi che ne custodiscono il senso profondo, ci insegnano. La rimozione del femminile, la sua trasformazione da alter-costitutivo in aliud-alieno apre la via da un lato alla perversione della reciprocità in complementarietà dominatrice (e il potere, una delle malattie del clero, è tutt’altro che casto) o a un rifiuto della differenza che diventa eterofobia (con le tristi conseguenze che ben conosciamo) o persino in una implicita legittimazione del 'neutro', effetto paradossale della mancata custodia del nesso irrinunciabile tra maschile e femminile. L a dualità maschio-femmina, ovvero la reciproca e insolubile implicazione dei due, è la matrice di ogni forma di ospitalità dell’alterità. E, alla fine, la condizione della pace e della fraternità. Viceversa, la rottura di questo nesso, una complementarietà che non si prende cura del legame che ci costituisce, è la matrice non solo di ogni dualismo, ma di ogni intolleranza e violenza. Che Maria ci aiuti a comprendere la verità che ci salva.

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