venerdì 24 luglio 2015
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Alcuni mesi fa la professoressa Silvia Benatti, una brava e appassionata collega di Italiano e Latino al Liceo scientifico 'Antonelli' di Novara, ha inviato tramite email una lettera aperta al ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini, a quello dell’Istruzione Stefania Giannini e al presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi. Il testo, che cercherò di riassumere riportandone alcuni stralci, recitava così: «Gentili Ministri, gentile Presidente, che impressione vi fa questo scenario? Grande fermento, incominciano i lavori: strade chiuse, forze dell’ordine dappertutto, ruspe pronte, un brulichio di uomini in tuta da lavoro, cariche di esplosivo sapientemente piazzate... Finalmente è arrivato il gran giorno! si abbatte il Colosseo, e sull’area così liberata sorgerà un meraviglioso e modernissimo centro commerciale... Certo è assurdo solo immaginarlo! Un patrimonio storico e culturale di inestimabile valore, riconosciuto in tutto il mondo, oggetto di visite da ogni parte del globo. Eppure guardate: uno scempio di pari gravità si sta perpetrando nel silenzio più totale e nella connivenza generale in tutto il nostro Paese. Il monumento di inestimabile valore che viene sacrificato a una presunta modernità è la cultura latina, che nelle scuole italiane sta per essere cancellata».  L’allarme lanciato dalla professoressa Benatti non è affatto immotivato, e piace rilanciarlo dalle pagine dell’unico quotidiano che nel nostro Paese offre ogni settimana ai suoi lettori anche una rubrica d’attualità scritta in latino. In molti indirizzi liceali, compresi alcuni dello Scientifico (come quello cosiddetto 'delle scienze applicate'), il latino è stato eliminato dal novero delle materie curricolari. Resiste al Classico, ma lì le iscrizioni sono in calo in tutta Italia (con poche eccezioni). Dopo il ’68 anche lo studio del latino si era 'democratizzato', diventando patrimonio di un gran numero di persone che crescevano in una scuola tesa a formare l’intera persona nella consapevolezza delle proprie radici, più che a preparare il lavoratore di domani sulla base di alcune nozioni puramente tecniche. Ora, invece, il latino sembra destinato a diventare di nuovo, com’era in passato, patrimonio di una piccolissima élite di specialisti. Continua Silvia Benatti nella sua missiva: «Come si fa a credere che la nostra società sarà migliore quando nessuno, tanto meno gli scienziati, avranno più letto certe pagine di Cicerone e di Seneca, di Plauto e di Marziale, di Orazio e di Virgilo, che ci danno la misura di quanto in migliaia di anni l’uomo si sia evoluto e sia rimasto lo stesso, di quanta fatica intellettuale abbiano comportato certe conquiste, di quante opere abbiano contribuito a rappresentare la ricchezza dell’essere umano e della società che ha creato? O quando si sarà persa l’origine di alcune parole, che nella loro evoluzione hanno rappresentato il modo di sentire degli individui e dei popoli, la loro capacità e il loro desiderio di definire quanto altrimenti sarebbe rimasto informe e indefinito?». La tesi, insomma, è che lo studio del latino debba essere considerato una risorsa e non una distrazione né tantomeno un inutile residuo del passato, come non lo è il Colosseo e come non lo sono Palazzo Vecchio o piazza San Marco.  Ancor più oggi che ci confrontiamo con altre culture in modo sempre più massiccio e pervasivo, dobbiamo dare valore alle nostre ricchezze culturali, dobbiamo essere in grado di rapportarci a loro con l’orgoglio di chi ha qualcosa di prezioso da scambiare con i preziosi doni degli altri. Senza contare che lo studio del latino potrebbe essere sfruttato anche come risorsa turistica in stretta connessione con i siti che rappresentano il contesto in cui questa lingua veniva utilizzata.  Come nessuno di noi non vorrebbe mai veder abbattuto uno dei nostri più importanti monumenti affinché sulle sue ceneri venga costruito un centro commerciale, nessuno dovrebbe permettere la condanna all’oblio di un così grande monumento della nostra cultura e una così grande ricchezza della nostra identità in nome di una cultura tecnologico-scientifica settoriale, che senza il completamento dell’ambito umanistico rischia di rendersi sterile e forse addirittura pericolosa. Sono passati diversi mesi dagli e-mail lanciati come messaggi in bottiglia dalla professoressa Benatti, ma non le è arrivata alcuna risposta.  Eppure noi cittadini veniamo sempre più spesso sollecitati a dialogare con le istituzioni tramite la posta elettronica.  Forse il governo era troppo occupato a far approvare a tappe forzate il decreto sulla «Buona scuola». Ma la buona scuola è anche, e soprattutto, quella caldeggiata dalla questa ottima docente.
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