Noi, tifosi del fondo sapendo i nostri limiti
martedì 28 luglio 2020

Il confronto al vertice europeo di settimana scorsa sul Recovery Fund è stato caratterizzato da un 'duello' tra i governi di Italia e Olanda sulla quantità delle risorse da mettere a disposizione e sulle modalità di utilizzo dei fondi. Per comprendere meglio come questo dibattito è stato vissuto dall’opinione pubblica nei rispettivi Paesi ospitiamo, accanto allo sguardo italiano, un’analisi dal 'fronte' olandese a cura di Jan Van Benthem, editorialista di Esteri del Nederlands Dagblad, quotidiano con il quale Avvenire ha avviato un rapporto di cooperazione giornalistica.

In Italia l’immaginario di riferimento è stato subito quello calcistico. Il tiro a cucchiaio di Totti al portiere Van der Sar nei rigori della semifinale dei campionati europei del 2000, divenuto proverbiale. Ma anche il secco 3-0 inflittoci dagli arancioni due edizioni dopo, in una competizione poco felice per gli azzurri, eliminati ai quarti con conseguente esonero del ct Donadoni. Anche nell’Europa più unita la rivalità sportiva resta accesissima e si trasferisce presto dagli stadi ad altri ambiti. È successo così pure in occasione del vertice maratona di Bruxelles che, dopo 5 giorni, ha dato il via libera al Recovery Fund.

Nella narrazione dei media italiani è stata subito una partita Italia contro Olanda, il premier Conte contro il premier Rutte. E, passando agli schieramenti, gli Stati del Sud (Roma con Madrid e Lisbona, appoggiate da Parigi) contro i Paesi cosiddetti frugali. Uno strano scontro, alimentato simmetricamente nei rispettivi Paesi dai leader sovranisti, che paradossalmente sono alleati tra loro. Da una parte, infatti, Giuseppe Conte doveva ottenere un risultato per salvare il suo governo insidiato dall’ex alleato, il leghista Matteo Salvini. Dall’altra parte, Mark Rutte che alla vigilia delle elezioni è pungolato da Gert Wilders, ritratto sui giornali italiani con uno striscione con il quale chiedeva di non dare un soldo al Bel Paese. Insomma, i due premier moderati non potevano recedere dalle rispettive agende per non dare armi ai loro critici interni, collocati su coincidenti posizioni anti-europeiste estreme. Ne è scaturito, visto dall’Italia, uno curioso braccio di ferro. Il premier olandese è stato descritto come un miope notaio incapace di andare oltre la raffica di no al progetto originario del Recovery Fund.

Qualcuno lo ha definito un 'prete rigorista', proprietario soltanto di una bicicletta e totalmente (ed egoisticamente) votato alla causa del suo Paese. Le ragioni dei dubbi olandesi per la gran parte dei media e dei commentatori sono sembrate totalmente inconsistenti. Il tono generale dei commenti era che l’Europa fosse di fronte a un’opportunità unica di dare una risposta forte e solidale alla crisi provocata dal Covid-19 e che qualche Stato membro volesse invece arroccarsi su vecchie difese degli interessi nazionali.

Molta enfasi è stata comprensibilmente data alle parole del premier Conte quando ha detto che Rutte avrebbe risposto alla storia se la sua ostinazione nel mettere il veto al Piano Ue avesse fatto crollare i mercati. Le tesi dei Paesi frugali sono apparse frutto di un pregiudizio antico nei confronti dell’Italia. Certo, molti ricordano le accuse dell’allora presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, che in un’intervista affermò: 'Non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto', riferendosi all’Italia e alle sue richieste all’Europa. Visto da Roma, il negoziato a Bruxelles appariva viziato da questo approccio, secondo il quale noi siamo ingiustamente ritenuti cicale che spendono irresponsabilmente a debito, senza pensare al futuro né alle conseguenze per le generazioni future. Il fatto è che gli italiani non si vedono in questo modo e ritengono che all’estero si costruisca una caricatura della nostra politica e della vita nel nostro Paese, forse anche per una certa invidia delle nostre bellezze naturali e artistiche e del nostro approccio rilassato ai problemi.

Ma, bisogna essere onesti, non tutti gli italiani hanno avuto questo atteggiamento: c’è una quota della nostra classe dirigente e anche della popolazione che è consapevole di alcuni nostri difetti e riesce a capire la preoccupazione che nutrono Rutte e molti dei cittadini olandesi. La 'frugalità' dei Paesi del Nord è prudenza e capacità di fare il passo proporzionato alla gamba, è attenzione all’efficienza dei servizi e al carico che mettiamo sulle spalle dei nostri figli, è buona politica che non cerca aiuti per misure populistiche o elettorali. Tanti hanno capito le critiche a 'Quota 100', la legge, molto costosa, che permette di andare in pensione dai 62 anni, una concessione assai generosa a un piccolo gruppo sociale che pesa sul bilancio dello Stato e non aumenta certo la produttività dell’economia né la giustizia sociale e intergenerazionale.

Eppure, quasi tutti gli italiani (tranne i pochi che facevano il tifo contro per potere continuare le loro politiche anti-Ue) erano concordi nel ritenere che l’Europa poteva fare (e ha poi fatto) un passo importante verso maggiore solidarietà e integrazione, in un momento particolarmente difficile per l’intero Continente. E l’ostinazione olandese appariva, in definitiva, inopportuna e fuori contesto. Tuttavia, si può dire a mente fredda, qualche controllo su come vengono spesi i fondi è giusto e ragionevole. In questo non si può dare torto a Rutte e ai Paesi frugali. Che poi, come ha detto il premier Conte, si debba aprire adesso il capitolo della politica fiscale olandese, che sfrutta le maglie larghe europee in materia di tasse per attirare aziende da altri Paesi, è un altro discorso. Che oggi sa un po’ di ripicca, ma che domani forse si potrà cominciare ad aprire con maggiore pacatezza. Alla fine, l’Europa ha partorito uno storico piano che vede uniti tutti i 27 Paesi in uno sforzo senza precedenti. Le ruggini tra Italia e Olanda verranno superate, almeno fino alla prossima sfida calcistica o alla prossima critica al modo in cui Roma spenderà i fondi a lei assegnati...

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