Nella Repubblica fondata sul Tar
venerdì 26 maggio 2017

Si scrive Tar, si legge 'Tutti A Rischio'. Perché un’eccezione burocratica presto o tardi salta fuori, un ricorso non si nega a nessuno e una leggina, per dimenticata che sia, può sempre rivelarsi decisiva. La colpa non è dei giudici dei Tribunali amministrativi regionali, intendiamoci (sì, è questo che significa veramente Tar). A loro, semmai, andrà imputata una prosa che sta sempre a metà strada fra la motivata sanzione e l’invenzione spericolata, nello stile del rimpianto Augusto Frassineti, autore dell’intramontabile Misteri dei ministeri. I preziosismi arcani sono all’ordine del giorno, come nella sentenza con la quale il Tar del Lazio ha impugnato la nomina di cinque direttori dei 'supermusei' nati in seguito alla riforma del sistema dei beni culturali varata nel 2014 dal ministro Dario Franceschini.

I criteri di selezione vengono ora definiti 'magmatici', aggettivo di portata addirittura visionaria, nel cui ribollire ciascuno può trovare quello che più gli interessa. In un primo tempo, per esempio, pareva che il problema principale fosse costituito dalla nazionalità degli interessati. La riforma Franceschini, com’è noto, aveva introdotto e fortemente sostenuto il principio dell’internazionalità del bando e delle conseguenti nomine. Prassi inaccettabile, a detta del Tar, visto che contraddice i requisiti altrimenti previsti per i dirigenti della Pubblica amministrazione. Poi però si prova a scorrere l’elenco degli spodestati e salta fuori che solo uno, l’austriaco Peter Assman in carica al Palazzo Ducale di Mantova, è da ritenersi straniero in senso tecnico. Gli altri (Martina Bagnoli della Galleria Estense di Modena, Eva Degli Innocenti del Museo archeologico di Taranto, Paolo Giulierini dell’Archeologico di Napoli e Carmelo Malacrino dell’Archeologico di Reggio Calabria) non mancano del requisito di italianità, ma per un motivo o per l’altro anche le loro nomine non risulterebbero regolari. Mancanza di trasparenza, audizioni non pubbliche.

Magma, insomma: magma e lapilli. E siamo solo all’inizio, perché il Mibact ha già annunciato il ricorso al Consiglio di Stato e invocato la sospensiva del provvedimento, che minaccia di lasciare privi di guida i musei in questione. Sul piano giuridico, avvertono gli esperti, la battaglia potrebbe essere più complessa del previsto, considerato che le obiezioni del Tar non sono prive di fondamento. Certo, non c’è mondo più internazionale del mondo dell’arte, i direttori e gli storici dell’arte italiani sono richiestissimi all’estero e, in un’epoca in cui le campagne presidenziali si svolgono nell’agone dei social network, sembra strano che un colloquio di lavoro non possa svolgersi via Skype. Proprio per questo non sarebbe stato inopportuno se, prima di avviare la rivoluzione di un settore tanto delicato per l’Italia, si fossero cercate soluzioni inattaccabili anche e specialmente sotto il profilo dell’ostinazione burocratica. La riforma Franceschini porta la data del 2014 ed entra in vigore nel 2015: altra epoca, politicamente parlando, rispetto a quella in cui la sentenza del Tar si manifesta. Allora ogni tentativo di critica – non necessariamente malevola – fu liquidato come espressione di pessimismo passatista. Il tema era e resta cruciale, ripetiamolo, e avrebbe meritato un dibattito più ampio e più ragionato di quello al quale abbiamo assistito e nel quale, purtroppo, il fatto personale è stato spesso elevato a petizione di principio. Di musei e biblioteche, di archivi e gallerie sarebbe stato bello parlare, insomma. Non ci siamo riusciti, peccato. La carta bollata, invece, non la ferma nessuno. Tutti A Rischio, d’ora in poi. E Tutti A Ricorrere.

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