Manovra e altro: le portanti della politica gialloverde
domenica 21 ottobre 2018

Mentre siamo intenti a decifrare i contenuti, e a immaginare le conseguenze, degli interventi di politica economica e fiscale del nuovo governo, molti si chiedono a quale area ideologica e di pensiero possa essere ascritta la linea politica gialloverde. Utilizzare gli schemi teorici che ci hanno accompagnato per almeno due secoli risulta infatti difficile, se non impossibile. Secondo questi schemi una parte dei provvedimenti può essere ascritta ai valori e alle tradizioni della destra – condono fiscale e flat tax – e una parte a quelli della sinistra – reddito di cittadinanza e rigore contro la corruzione.

E se le cose stanno così, viene da chiedersi ulteriormente se l’approccio su cui le manovre in corso si basano, sia una «reazione scomposta», come qualcuno ha detto, di un aggregato politico dilaniato dalle divergenze di veduta al proprio interno, e impegnato a difendere le posizioni conquistate anche in vista delle prossime elezioni; o se si tratti piuttosto di una nuova ideologia, che pesca sia a destra sia a sinistra, tentando di individuare nuovi obiettivi.

Un’ipotesi, questa ultima, peraltro non del tutto estemporanea, visto che da alcuni decenni si ragiona di 'terza via', di una linea politica cioè che possa contemperare i progressi assicurati dall’economia di mercato con le esigenze di giustizia sociale: «merito e bisogno», secondo una felice definizione degli anni 90 del Novecento. Ci vorrà sicuramente del tempo per venire a capo di questi dilemmi. Purtuttavia alcuni elementi di riflessione, relativi a ciò che tiene unita la coalizione di governo, emergono già oggi, e possono fornire qualche spunto chiarificatore. Innanzitutto la ribellione di tutti coloro che da tempo si sentono esclusi dalle decisioni di vertice, soprattutto a livello economico, ma anche a livello delle politiche sociali, ambientali, lavorative, che sembra costituire il collante principale dell’azione politica.

Può sembrare questa una visione semplicistica del cambiamento in corso, ma di fatto si tratta dell’anima di ciò che nel contesto attuale si intende per populismo. Nel passato più recente le analisi hanno ripetutamente richiamato l’attenzione sullo scollamento tra politica e società e sulla cosiddetta disintermediazione.

La questione ha quindi finito per esplodere, sfociando in una richiesta forte, in parte aggressiva, di riappropriazione di ruolo e potere da parte della massa silenziosa esclusa dagli ambienti elitari nei quali vengono prese le decisioni che contano nel mondo finanziario come in quello politico, e anche nel top management del mondo produttivo. Un secondo elemento riguarda la dimensione globale della società contemporanea, relativamente ai flussi migratori, ma anche alle regole del commercio internazionale ed ai rapporti con l’Europa. Da questo punto di vista la convergenza tra le due componenti della coalizione – M5s e Lega – è meno netta, con accenti diversi sulle varie questioni.

È indubbio però che la linea che si sta percorrendo possa essere definita una linea di deglobalizzazione, di rifiuto cioè di tutto ciò che i processi di interconnessione economica, culturale e sociale tra diverse parti del globo hanno prodotto. Un terzo elemento attiene alla dimensione temporale e in particolare al rapporto tra passato e futuro. Da questo punto di vista la realtà ci rimanda una immagine ancora meno nitida di quella della deglobalizzazione. La retorica dei ragionamenti esposti dalla maggioranza sembra, da un lato, porsi in netta antitesi con il passato, ma dall’altro lato non si intravedono proposte né azioni che rimandino a una visione utopicamente costruttiva del futuro. Per riprendere una linea interpretativa importante, della quale Zygmunt Bauman si è fatto portavoce nel suo ultimo volume 'Retrotopia', sembra s’intenda « navigare a ritroso ».

Prigionieri del presente e di una visione distopica del futuro, si ricorre al recupero nostalgico della appartenenza, dell’identità localistica, degli interessi particolari, della sicurezza e dei confini. Valori e principi del passato, che sicuramente non possono essere ascritti a un cambiamento innovativo, a meno che non si voglia rinunciare alla dimensione progettualmente costruttiva, che ha caratterizzato fino a oggi le linee di sviluppo e di crescita della società occidentale.

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