domenica 6 giugno 2010
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Scarse e disorganiche: così sono le politiche per il sostegno alla maternità messe in campo dalle nostre amministrazioni regionali, come mostra l’indagine che Avvenire pubblica oggi nelle pagine interne. I provvedimenti sono mal distribuiti sul territorio italiano: una pennellata qua e un’altra là, poche tracce di colore che non seguono la trama di un disegno complessivo. C’è il recentissimo fondo Nasko della Regione Lombardia, a sostegno esplicito di gravidanze difficili, dedicato a chi ha già fatto richiesta di abortire per motivi economici: un primo, meritorio passo che alcune regioni hanno già dichiarato di voler seguire. La Puglia, invece, ha messo da poco a disposizione "prime doti", cioè finanziamenti rivolti a famiglie a basso reddito. Altrove si parla di leggi per la famiglia, asili nido, fondi di sostegno all’alloggio: iniziative disomogenee sul territorio, a volte episodiche, spesso poco finanziate, e che soprattutto sembrano più il frutto della buona volontà di alcuni amministratori piuttosto che di una strategia definita per raggiungere obiettivi ben individuati, sia pure a livello regionale. Quel che emerge è una generale mancanza di consapevolezza del "bene maternità" nella politica italiana, comune a tutti gli schieramenti e alle differenti amministrazioni locali e nazionali che nel tempo si sono avvicendate, nessuna delle quali sembra aver lasciato finora un segno tangibile in questo ambito. Il costante calo degli aborti e la sostanziale tenuta delle reti dei rapporti familiari, che fanno dell’Italia una felice eccezione nel panorama occidentale, appaiono l’esito di una cultura diffusa più che di politiche mirate, ma non sono bastati comunque ad evitare la grave emergenza demografica in cui versa il nostro Paese, dove nascono sempre meno bambini. Le cause sono molteplici e complesse, ma non innanzitutto e non solamente economiche, visto che siamo una delle nazioni più ricche del mondo, e che generalmente non sono le famiglie a reddito più elevato quelle con più figli. Possiamo dire, in generale, che la maternità non è percepita come un valore sociale: è un fatto che riguarda le coppie ed eventualmente i singoli individui, spesso una scelta personale che però non viene vissuta come un fatto positivo per tutta la società, piuttosto come un percorso da affrontarsi soprattutto dal punto di vista sanitario e che, dopo l’evento della nascita, è quasi ignorato. Di conseguenza, la politica fa fatica a occuparsene in modo sistematico e organico, a riconoscerne l’importanza e a metterla fra le priorità della sua agenda. Quindi, politiche di sostegno alla maternità – a partire da quelle più fragili, come sono quelle rifiutate – anche se non risolveranno il problema demografico, sono un segno necessario e importantissimo per il riconoscimento del valore pubblico della maternità, del valore di ogni singola maternità per l’intera società, laddove per maternità non si intende solamente la nascita di una nuova persona, ma anche e soprattutto il suo rapporto con chi l’ha fatta venire al mondo. Il sostegno alla maternità si allarga inevitabilmente a quello alla paternità, per diventare sostegno alla famiglia tutta. La sfida è quella di un’iniziativa politica che può essere intrapresa anche a livello locale, nell’ottica federalista verso cui si sta andando, ma che per essere efficace ha bisogno di una profonda consapevolezza dell’importanza del "bene maternità", e della necessità di un disegno complessivo adeguato per sostenerlo. È soprattutto in momenti di crisi come questo che se ne sente il bisogno.
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