giovedì 10 dicembre 2009
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«Nella politica, come nell’economia o nel campo del disarmo, è indispensabile porre nuovamente la persona al centro delle nostre preoccupazioni». Siamo sinceri: la seconda Conferenza di esame sulla convenzione di Ottawa (1999) che mise al bando le mine antipersona, appena conclusa a Cartagena (Colombia), ha poco attratto i riflettori della cronaca. Più glamour la conferenza di Copenhagen sui mutamenti climatici, più drammatiche le polemiche sull’Afghanistan, più tragiche le notizie dall’Iraq.Ci volevano le parole di Benedetto XVI per riportarci sulla terra, per riconsegnarci a una concretezza che non tollera chiacchiere. Per ricordarci che non è possibile abdicare «a una visione più ampia, per non escludere campi tanto vicini che sarebbe futile cercare di separare». Abbiamo fin qui citato il messaggio che il Papa, a firma del cardinale Tarcisio Bertone, ha inviato alla presidente della Conferenza, la norvegese Susan Eckey. Un testo che nei toni e nei concetti riecheggia l’ultima enciclica, la Caritas in veritate, e rinnova ai potenti che governano il mondo un’alta ma ineludibile sfida.La Convenzione siglata a Ottaw a, e ormai firmata da 165 Paesi (anche se nell’assenza di nazioni importanti come Usa, Cina, India, Israele, Turchia), sottolinea il Papa, è stata un passo importante. Intanto, ha posto le vittime e le loro famiglie al centro dell’attenzione, chiarendo una volte per sempre che tali armi «hanno causato più vittime e danni fra la popolazione civile, che bisognerebbe difendere, di quanto siano servite per difendere gli Stati». Ma soprattutto ha fatto da prototipo a una nuova collaborazione tra gli Stati, è stata «pioniera in un modello che può essere definito come multilateralismo rinnovato, che con il tempo ha dimostrato la sua validità». Nel campo degli armamenti, dove ha infine portato al bando (il 3 dicembre 2008) anche delle cluster bombs, le micidiali "bombe a grappolo" che avevano sostituito, con effetti anche più tremendi, le mine antipersona. Ma poi, semplicemente, in ogni campo perché, come scrive il Papa nel suo messaggio alla Conferenza, «in un mondo sempre più globalizzato e interdipendente, la pace e lo sviluppo sono inseparabili».Ecco allora, nel messaggio alla Conferenza, il richiamo alla Caritas in veritate, laddove essa afferma che «la cooperazione internazionale ha bisogno di persone che condividano il processo di sviluppo economico e umano, mediante la solidarietà della presenza, dell’accompagnamento, della formazione e del rispetto». Aumentare le probabilità di pace eliminando gli strumenti di morte, cooperando a livello internazionale e favorendo l’inclusione dei Paesi più poveri, è la condizione necessaria «per la costruzione della prosperità e dello sviluppo integrale della famiglia umana». Proprio perché la pace non è solo l’assenza della guerra, o il trinceramento dietro un apparato militare all’apparenza insuperabile, ma è «il pieno sviluppo della persona umana».L’analisi di Benedetto XVI anche questa volta si rivela di amplissimo respiro. A un mondo che per le ragioni più diverse, e con i più diversi pretesti, sembra sempre più teso a frammentarsi, e a lanciare i suoi frammenti alla rincorsa dei più egoistici nazionalismi, il Papa propone all’opposto una visione di apertura tra i popoli e di collaborazione tra gli Stati. L’unica, peraltro, che abbia in sé la necessaria quantità di concretezza per proporre una soluzione organica ai temi della pace, dello sviluppo, della conservazione del pianeta. Perché di questo infine si tratta: una sola umanità, una sola terra, un destino comune.
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