giovedì 19 maggio 2016
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UN RISTORANTE, UN PRANZO LUCULLIANO, PENSIERI SUL LIMITE L’ altro giorno, era domenica, io e mia moglie decidiamo di andare a mangiare fuori a pranzo e scegliamo uno di quei ristoranti che oggi vanno molto di moda dove con un “ticket” di dieci euro a testa poi vige la formula all you can eat, tutto quello che puoi mangiare. La formula è facile da capire: c’è un enorme buffet pieno di ogni ben di Dio e tu, armato di un piatto che puoi riutilizzare ad libitum, puoi appunto riempirlo fino a quando e quanto vorrai senza alcun limite se non quello fisico legato alla capienza del tuo stomaco. Nei primi quindici minuti io e mia moglie ci siamo sentiti come “carichi“, pieni di una energia euforica e “non abbiamo fatto prigionieri“: quel povero piatto lo abbiamo caricato di ogni leccornia possibile e immaginabile, cercando, ma non era semplicissimo, di non mischiare i primi con i secondi o addirittura con i dolci o la frutta. L’esperienza di fatto è stata all’insegna della facilità, ma non della semplicità. Per giunta la porta della cucina si apriva di continuo lasciando entrare camerieri che arricchivano il buffet con nuove portate per cui mi sono ritrovato a mangiare dei primi dopo che ero arrivato al dolce, ma confesso che era difficile resistere a tutta quella bontà elargita senza alcuna fatica o senso del limite. Eccola qui la parolina magica che a un certo punto si è fatta strada, mentre col passare del tempo, strisciante, saliva dal basso un senso come d’angoscia. L’euforia di qualche minuto prima progressivamente era scemata e dopo un po’ mi è tornata in mente la famosa definizione del cardinale Biffi sulla sua città Bologna, «sazia e disperata», un piccolo ritratto non solo di una città ma di una intera società e forse di un’epoca, la nostra epoca limitless, allergica al limite. Alla fine, al caffè, ci siamo guardati negli occhi io e mia moglie, fino a quel momento lo sguardo era fisso verso il basso, rivolto a quel buffet che come un caleidoscopio cangiava di continuo, in modo che nulla sfuggisse alla nostra vista, e ci siamo detti, sospirando: «Mai più». Tornando verso la macchina ho avuto la sensazione di aver capito meglio e più in profondità la domanda, anche quella “strisciante”, con cui sono iniziati tutti i guai per noi esseri umani: «Ma è vero che potete mangiare tutto?». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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