venerdì 3 dicembre 2010
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Sì, l’Italia torna a essere un Paese di migranti. Di gente che va a costruirsi un futuro nel mondo globalizzato. Mai più spaghetti e mandolino. Ma laurea in tasca, buona conoscenza delle lingue e soprattutto un sogno da realizzare, un progetto da portare al traguardo, una scommessa da vincere. E talvolta anche un ideale di vita da conquistare.Non stupiscono, perciò, le cifre del Rapporto della Fondazione Migrantes che segnalano l’incremento di un milione di italiani residenti all’estero fra il 2006 e oggi. Un milione in più di italiani, soprattutto giovani, che hanno preso un aereo e sono volati via. Andando a ingrossare quell’esercito, oltre 4 milioni di nostri concittadini che vivono prevalentemente in Europa, ma che scelgono anche gli Stati uniti, il Sudamerica o l’Australia.Torniamo ai nostri giovani, ai nostri "cervelli" in fuga, Chi non ne ha qualcuno in famiglia o nella cerchia degli amici? L’esperienza di "Erasmus", per la generazione dei nati dagli anni Settanta in poi, è stata un autentico spartiacque. Hanno vissuto a Parigi o a Barcellona come se fossero a casa. Non hanno sofferto lo choc del distacco come le generazioni precedenti, per le quali emigrare da Sud a Nord era già una lacerazione profonda sia sul piano dei sentimenti sia su quello delle relazioni.Ecco la giovane Lucia, biologa con la voglia di ritagliarsi un suo spazio di autonomia, che dopo la laurea va per il dottorato di ricerca a San Francisco e ci resta. Da pochi giorni si è trasferita a Portland, dove un ospedale le ha affidato, a poco più di trent’anni, un budget milionario per fare ricerca genetica. E Giulia che dopo la laurea in scienze politiche, vola in Argentina con i progetti della Caritas internazionale. Ha già fatto sapere che il suo mondo è lì, fra i bambini di strada.Ecco, appunto, il loro mondo. Il mondo globalizzato nel quale oggi essere giovani è un vantaggio, tranne forse in Italia, dove Lucia e Giulia dovrebbero lottare con il precariato perenne, fra una borsa di studio e un lavoretto. Difficile dare torto alle loro scelte o mettersi di traverso, perché alla voglia di fare non si può sempre mettere il freno. E questo lo hanno capito bene sia i loro genitori, sia gli amici, sia i professori che vedono i migliori scegliere altre strade. E in giorni come questi, in cui tante voci si spendono per dire tutto il male possibile dell’università italiana, non si può tacere sul fatto che questi giovani "bravi" hanno studiato qui e oggi portano i loro talenti altrove, a rendere ricche altre nazioni, concorrenti nel mercato globale. Delle idee oltre che dei denari.«L’estero ruba all’Italia i più bravi», denuncia Migrantes. E non solo giovani ricercatori, ma anche scienziati con alle spalle curricula invidiabili che trovano ad altre latitudini spazi qui preclusi. Un processo di impoverimento che stiamo già pagando, nel momento in cui ci affacciamo sul mercato tempestoso dell’innovazione di prodotto e di sistema.Nessun uomo sano di mente può volere un Paese vecchio, incapace di rinnovarsi e di costruire un futuro attraverso le proprie migliori intelligenze e volontà. Ecco perché se da un lato possiamo gioire per i successi dei nostri giovani all’estero, dall’altro dobbiamo accettare la sfida delle riforme. E se questo vale per le zone ricche del Paese, pensate quanto possa pesare per il Sud, alle prese con un’emorragia dei cervelli che ormai ha raggiunto punte del 45% dei nuovi laureati in regioni come la Puglia. Un impoverimento delle classi dirigenti che si paga prima nel Mezzogiorno, ma poi tocca il Paese per intero.Sì, siamo tornati a essere un popolo di migranti. Comunque e sempre per necessità: di spazi, di autonomia, di finanziamenti. Liberi di emigrare, meno liberi di restare.
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