venerdì 31 maggio 2019
Fede, religione, compito dei successori degli apostoli, «cattolicesimo convenzionale». C'è qualcuno deputato a "giudicare": è il magistero della Chiesa
Ansa

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Se andassimo a scuola di teologia fondamentale e dogmatica dal cardinale Gerhard Müller – già prefetto della Congregazione della Dottrina della fede – verremmo a sapere che la fede cristiana è un dono ricevuto nella Chiesa cattolica quando siamo stati battezzati e, crescendo, abbiamo ricevuto il sacramento della confermazione.

Chi sono i cristiani? Tutti i battezzati (certo, anche quelli che per tanti motivi non sono stati “crismati”). Il cristiano è un «abitato dallo Spirito santo» grazie al battesimo. Nessuno può allora dire a un battezzato: «Non sei cristiano». Questa è una sacrosanta verità, ma non è tutta la verità. Infatti, approfondendo, sempre il cardinale ci spiegherebbe che l’essere cristiano è un dono (Gabe) ricevuto attraverso il battesimo che istituisce immediatamente un compito (Aufgabe) importante, cioè quello di seguire Gesù sulle vie che il Maestro di Nazareth indica: anzi, Lui stesso è la Via percorrendo la quale si può vivere la Vita in Verità e così salvarsi dalla barbarie umana del cuore insensibile, freddo, escludente, guerrafondaio, rissoso, mercificante, narcisista, egocentrico, prepotente e così via.

Dall’essere cristiano nasce allora il cristianesimo come compito di vita per tutti coloro che lo possono praticare, perché hanno il “potere” di seguire l’insegnamento di Gesù e di dare testimonianza alla Sua verità, inscritta nell’unico comandamento lasciatoci: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».

E seguire il compito, per un cristiano, è abitare il “come” Gesù ci ha amati. Non è l’amore generico, o anche un “amore come vuoi tu”, il comandamento di Gesù. È piuttosto l’amore sconfinato (certo paradossale in moltissimi tratti), ma possibile, mostrato da Gesù con la sua pro–esistenza per tutti, in particolare per i poveri o quelli che «vivono nel rovescio della storia» e non hanno nessuna centralità, sono scartati, emarginati, esclusi. Il “come” dell’amore di Gesù è, letteralmente, dedizione totale all’altro, manifesta gli occhi pieni di compassione per il dolore immane di altri e per ogni sofferenza, fosse anche quella del nemico. Perciò, se la fede è un dono ( Gabe) che stabilisce un compito ( Aufgabe), il cardinale Müller annoterebbe anche che non c’è altra via per un cristiano di eseguirlo se non la dedizione (Hingabe).

È questo il motivo spirituale e teologico per cui nella tradizione cattolica (cioè quella formalità cattolica del credere cristiano, custodita per tutti dal servizio pastorale della Congregazione per la dottrina della fede) la fede non è mai “sola”: la sola fides, comunque venga intesa, non esprime il cristianesimo cattolico, semmai quello luterano. Fides quae per charitatem operatur, invece, dice il cattolicesimo cristiano. Operare attraverso la carità non è un optional per la fede cristiana, secondo il cattolicesimo. Perciò, è possibile parlare di «cattolicesimo convenzionale» , come un cattolicesimo poco cristiano o anche “non cristiano”, quale estrema posizione di chi da cattolico vive una «fede morta», secondo san Giacomo, cioè una fede senza le opere della fede, la carità ( agape), amore verso il prossimo nel quale soltanto è stabilita la visibilità dell’amore dell’uomo per Dio.

D’altronde, anche Gesù ha incontrato questa forma di miscredenza, in quella ipocrisia religiosa che fa pregare Dio solo con le labbra, mentre il cuore è lontano dal suo insegnamento. La religione come “segno esteriore” segnala l’esistenza della fede, la quale però è tale solo se è testimonianza attraverso il dono di sé nell’amore secondo Gesù.

Se un cattolico dicesse a un altro cattolico – «non sei cristiano» – non negherebbe affatto la presenza dello Spirito Santo per il battesimo in quel fratello, ma gli direbbe con parresia – “non vivi da cristiano” –, non stai seguendo l’insegnamento di Gesù, perché il tuo cuore non palpita al ritmo dello Spirito santo, il quale – immaginato come una colomba – potrebbe essere inerte con le ali tarpate o – se immaginato come fuoco – potrebbe es- sere spento e ghiacciato nel cuore del fratello. La questione più seria è, piuttosto, quello di sapere se c’è qualcuno deputato a “giudicare” chi vive da cristiano e chi non vive da cristiano. Il cardinale Müller insegnerebbe che c’è e quello è il Magistero della Chiesa, il Papa unitamente ai vescovi, successori degli Apostoli.

Vescovi, come quelli siciliani che hanno annunciato il Vangelo sulla questione dei profughi e dei migranti, dicendo che l’accoglienza (umanamente “integrata”) è una via obbligata del Vangelo, hanno stabilito per tutti (anche per sé stessi) che accogliere è evangelico e non-accogliere, invece, non lo è. Con questo non hanno inteso fare “politica” o intromettersi in campi di loro non-pertinenza, benché sono consapevoli che la loro affermazione ha anche un significato etico e inevitabilmente politico: è rivolto cioè alla coscienza dei cattolici cristiani, perché in politica promuovano i valori cristiani della loro coscienza o, meglio, i valori della loro coscienza cristiana, essendo necessario evitare il pericolo “ipocritica” di chi è cristiano perché battezzato e non lo è per vissuto, non lo è nella sua azione.

Così, amare il nemico è cristiano, odiare il nemico non lo è. Ancora, fare del bene a chi ti fa del male è cristiano, vendicarsi non lo è, per nulla. «Fare violenza in nome di Dio è satanico» (papa Francesco), come «agire con violenza è contro la natura dell’anima e di Dio» (Benedetto XVI). Pertanto, se un cattolico – con tutto lo Spirito santo del suo battesimo – agisce con violenza in nome di Dio è satanico (e dunque non è cristiano), anzi vive contro la stessa natura dell’anima e quindi è disumano (e anche per questo non è cristiano), non riconosce la stessa natura di Dio, solo e sempre amore, cioè il Vangelo di Gesù, per il quale Gesù è morto in croce per amore (e soprattutto per questo non è cristiano).

Vescovo di Noto

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