I gesti dei cristiani valgono per il bene che generano
giovedì 30 maggio 2019

È chiaro che per chi crede in Dio, la fede è qualcosa di importante. Non tutti i credenti credono allo stesso modo, e questo dovrebbe spingerli non a farsi la guerra ma a rimanere umili, in ascolto, cercando di capire le ragioni dell’altro. Nel mondo c’è anche chi di Dio fa volentieri a meno, o chi, pur ammettendo una presenza divina, la ritiene troppo lontana e misteriosa per essere indagata. Tutti, credenti, non credenti, diversamente credenti, siamo nati senza averlo chiesto e lasceremo questo mondo senza che qualcuno ce ne chieda il permesso. È la vita. La nostra, unica, irripetibile, straordinaria vita. Bene faremmo ad attraversarla, viverla, respirarla, senza fare e farci male. Meglio ancora impegnandoci seriamente a fare il bene. Non sempre accade. Tutti però abbiamo il dovere almeno di tendere a questa mèta altissima.

Domenica abbiamo votato. Ognuno secondo la sua coscienza, le sue conoscenze, i suoi ideali. L’esito del voto lo conosciamo. Anche in politica la vita è un’altalena. Illustri opinionisti hanno esaminato e commentato il voto degli italiani. Un nome è sulla bocca di tutti: Matteo Salvini. In diverse occasioni, il ministro dell’Interno, ha tirato fuori la corona del Rosario, un oggetto caro ai cristiani cattolici, per ribadire la sua fede. Il beato Bartolo Longo, nella famosa supplica alla Madonna di Pompei, chiama il Rosario «catena dolce che ci rannodi a Dio».

Su quel gesto tanto si è detto e scritto. Alla vigilia delle elezioni, si sa, tutti vanno alla ricerca di voti, per cui a tanti quella mossa i comizi di piazza e televisivi non è piaciuta, ad altri, invece, sì. A me un simile gesto, a prima vista, non può che confortare. Se Salvini intendesse strumentalizzare la religione sua e mia non posso saperlo e volentieri lascio il giudizio alla sua coscienza. Se, però, quel gesto non è stato strumentale, ma seriamente e cristianamente convinto, Salvini, lo dovrà dimostrare nei fatti. Il nostro è uno Stato laico. E tutti – a cominciare da chi ha fatto della sua vita, un servizio a Dio e ai fratelli – vogliamo vivere in uno Stato laico. Superfluo sottolineare che laico non vuol dire laicista.

Un vero laico sa bene di non aver motivi di temere il vicino, il collega, l’amico, il parente che ha il dono della fede. Perché propria la fede in Dio, e, nello specifico, nel Dio di Gesù Cristo, lo obbliga a rispettare, amare, servire l’altro, chiunque esso sia, maschio o femmina, bianco o nero, italiano o straniero. Sono un prete italiano, ma se fossi ateo, agnostico o straniero approdato in questo Paese, non mi riterrei affatto offeso nella mia libertà dalla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici. Al contrario mi sentirei tutelato, perché l’uomo con le mani inchiodate e le braccia spalancate, sta invocando amore anche per me. E, per quanto possa sembrare paradossale, con i suoi è più esigente e severo, con me che vengo da lontano o non credo alla sua divinità, è più accogliente e misericordioso.

Se il mio ministro dell’Interno, dunque, come tanti connazionali, soprattutto in queste mese di maggio, sa davvero trovare il tempo, durante la giornata, per invocare Maria, madre di Dio e madre nostra, non posso che averne gioia. Non per un malinteso senso di appartenenza che esclude gli altri, ma perché sono convinto che non c’è nessuno che, dopo aver invocato Maria, possa chiudere gli occhi sulle necessità dei figli da lei tanto amati. Con san Bernando vogliamo pregarla anche dalle pagine di questo giornale: «Ricordati, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al tuo patrocinio, abbia implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione e sia stato abbandonato».

E ripetere quella stupenda, struggente, commovente preghiera dello scrittore, poeta e laico, Charles Peguy:

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, quando avremo deposto cappa e mantello, quando avremo gettato maschera e coltello, ricorda il nostro lungo peregrinare. Quando ci caleranno nella fossa, e ci avranno offerto assoluzione e Messa, ricorda, o Regina di ogni promessa, il nostro lungo cammino, il nostro peregrinare».

Matteo Salvini, come ogni cristiano, sa che a Maria, dalla croce, Gesù affida Giovanni e con lui tutti gli uomini della terra, credenti e non credenti. La croce sulla quale il nostro Dio soffre e muore è composta da due legni. Uno guarda verso il cielo e ci ricorda che abbiamo un Padre che brama essere ospitato nel tempio del nostro corpo. L’altro, invece, si allarga a dismisura verso i fratelli. Per abbracciarli. Tutti, dai più vicini ai più lontani. Fino ai confini dei confini del mondo.

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