L’acceso dibattito che in questi giorni ha coinvolto il Museo Egizio di Torino e il suo Direttore Christian Greco solleva una riflessione sul rapporto tra patrimonio culturale (i musei, nello specifico) e potere politico. Si registrano curiosità e apprensione per questa vicenda, rispetto alla quale molti cittadini si chiedono: «Come mai tanta attenzione per la gestione di un museo che risulta comunque tra i più visitati in Italia e che ha avviato un percorso di eccellenza – a livello educativo, di ricerca, conservativo e museografico – riconosciuto a livello internazionale?».
Al di là delle prese di posizione, il caso dell’Egizio testimonia l’emergere di nuove dinamiche sociali e partecipative. Da tempo i musei si sono trasformati in uno spazio parallelo del discorso pubblico, luoghi di elaborazione del pensiero politico, in cui si promuovono partecipazione e confronto sui problemi – piccoli e grandi – che interessano le comunità. La studiosa Jennifer Barrett (2012) ha parlato in proposito di museo come “dimensione pubblica”, rielaborando l’interpretazione storica di Jurgen Habermas (1989) che vedeva nei salotti sette-ottocenteschi i contesti di fioritura del pensiero politico, quali spazi di aggregazione alternativi a quelli “regolamentati” dei gruppi formalmente riconosciuti. Il fenomeno è evidentissimo ed entusiasmante; oggi i musei partecipano alla vita pubblica, prendono posizione sulle grandi questioni della guerra, della violenza sulle donne, della sostenibilità sociale e ambientale. Il lungo dibattito che ha portato, nell’agosto del 2022, alla nuova definizione di museo da parte dell’International Council of Museums (Icom) ha consacrato in modo plebiscitario la missione di queste istituzioni in termini di impegno democratico e di responsabilità sociale.
Ed è sull’onda di questo fenomeno (alcuni studi dimostrano che tra le principali fonti di informazione e dibattito dei giovani si collocano gli spazi social dei musei) che, da almeno un decennio, a livello globale, si è manifestato un interesse crescente dei governi e dei partiti di ogni orientamento nei confronti del ruolo esercitato dai musei nella società. Si riproduce in tale contesto la tensione tra questioni globali e politiche nazionali, tra interessi specifici delle nazioni e fenomeni complessivi, come la crisi climatica, i diritti umani, la distribuzione delle risorse, i conflitti armati. Forte di un’autorevolezza indiscussa, che resiste nonostante l’evidente indebolimento delle certezze che un tempo saldavano il rapporto tra cittadini e istituzioni, il museo si fa promotore di valori e questioni etiche, offrendo al pubblico l’opportunità di una riflessione che sfugge alle dinamiche degli scacchieri e riattiva così un virtuoso sentimento di fiducia, una voglia di partecipazione che possono rivelarsi pura linfa per le democrazie ed i partiti che le rappresentano.
Uno dei più celebrati discorsi di Michelle Obama sul tema dell’inclusione e della parità di diritti è stato pronunciato nel 2015, in occasione dell’inaugurazione della nuova ala del Whitney Museum di New York (opera del Renzo Piano): uno speech memorabile, accorato, sincero, in cui la First Lady riconosceva il coraggio e l’utilità di un museo che si trasforma in luogo di confronto plurale. Il museo del XXI secolo è terreno di esercizio della cittadinanza, del riconoscimento delle identità e della rappresentazione delle memorie; la sua vitalità costituisce un termometro importante della salute di una democrazia.
Nel suo essere custode di un patrimonio condiviso (in un senso che è al tempo stesso nazionale e universale), il museo alimenta sentimenti di appartenenza ma esalta al contempo le libertà individuali (l’esperienza estetica, l’immaginazione, il pensiero spontaneo). Tentare di contenere questo fenomeno, ormai dilagato a livello globale, sarebbe velleitario, oltreché dannoso; per i governi ed i partiti, esso andrebbe considerato come terreno prezioso per registrare bisogni e trasformazioni sociali, ma anche per sperimentare forme di dialogo e di partecipazione. Ma è decisivo – in tale visione – garantire indipendenza e ruolo di terzietà ad una sfera pubblica che, come un polmone, trasmette vitalità al nostro sistema sociale, pone interrogativi, a volte anche scomodi, e può agire da cassa di risonanza per i pubblici che non hanno voce.